sabato 31 maggio 2008

italians do it better

Tutti hanno la ricetta per la ripresa, con tanto di ingredienti (il più popolare: produttività).

Ma mai nessuno che si metta a cucinare.

Ci affideremo a La Prova del Cuoco?

lunedì 26 maggio 2008

uno studio sul romanticismo performativo

C'è una strana sensazione nel parlare di romanticismo, è un tema fuggente.
Questo è un discorso che va avanti da un po'. Una posizione
performativa sostiene che il romanticismo sia un repertorio di azioni, una performance che si attiva in situazioni che sono definite romantiche, quasi una struttura stimolo-risposta; in questo senso quello che si fa è definibile romantico sulla base di due tipi di convenzioni: una convenzione aprioristica, in base alla quale da che il romanticismo ha attecchito nella cultura dell'uomo occidentale figlio cristiano medievale e cortese, sincretizzato con il Geist norreno e sassone (circoscriviamo sempre le generalizzazioni, teoria a corto o medio raggio, à la Merton), ci siano delle cose che si fanno o si dicono già romantiche, romantiche in sé e per sé, indipendentemente dal destinatario (vedi baciperugina). Quindi, romanticismo come paradigma dell'azione.
Una seconda base definitoria ha più a che fare con un atteggiamento fenomenologico, husserliano forse, per cui il repertorio romantico (stiamo ancora viaggiando nell'ipotesi performativa) non è costituito da un corpus di pratiche predefinite, ma da gesti e espressioni quotidiane che sono romantiche nel momento, hic et nunc, e la definizione romantiche di queste azioni avviene sulla base della coincidenza dell'intenzione fra destinatario e mittente, ossia nella condivisione della decodifica del contenuto dell'azione comunicativa. Questo non ha a che fare con i baciperugina in quanto tali, ma con i baciperugina quando è "giusto" (le virgolette ci sollevano dalla responsabilità di affrontare un discorso sull'etica del romanticismo) farne uso. Quindi romanticismo come performance di senso.
La prima accezione, romanticismo-paradigma (fattuale), è inscrivibile nella categoria dell'idealismo, per cui chi adotta questo genere di visione, fa il romantico senza esserlo davvero, o se lo è, lo è perché decide di esserlo, con chiunque e in qualsiasi caso. A mio parere, questo snatura ogni eventuale funzione del romanticismo (non abbiamo parlato di romanticismo in un'ottica funzionalista, ancora), e reifica il simbolismo in pesanti mattoni di stereotipia.
La seconda accezione, romanticismo-performance (senso), è più vicina ad un pragmatismo interazionale, in quanto l'azione diviene romantica solo nell'interazione, nel momento. Tuttavia questa seconda tipologia pone più problemi, in particolare nel momento dell'incontro fra i soggetti, perché la definizione, o meglio la condivisione della definizione è meno scontata. Quando due romantici-pragmatici si incontrano su un terreno comunicativo non usuale, non tradizionale, considerate le diverse prospettive, per quanto tutte rientrino nel romanticismo come performance di senso, l'uscita dall'impasse è possibile solo nel coraggio della dichiarazione, ossia nella chiarificazione del significato, nella richiesta del feedback puro: «Quindi mi stai dicendo che?». Ma ci vuole, appunto, coraggio.
Il romanticismo materico, il romanticismo concreto con fantasia, e ogni altra teorizzazione è valida. Ma cosa c'è di più materico, nella lontananza, della parola? Gli individui portano nell'esperienza diversi livelli di fortezza, di sicurezza, e l'uno può essere più desideroso della conferma, a costo di banalizzare o epurare di aura l'atto romantico dell'altro.
Questo avviene, appunto, nella lontananza.
[Sicchè il materico, il concreto, il fattuale è la performance nell'immediatezza, nel Dasein dell'interazione.]

(Johannes Marcus Caeliarum, sec. XXI d.C.)


ieri, piovendo

via da questi luoghi, via da vecchie paure _ L'allontanamento è sempre così difficile, ci si chiede in continuazione se è giusto quello che si sta facendo, se da soli ce la si può fare, che cosa serve per stare bene, cosa si vuole _ via dal pregiudizio, gonfio di violenza, dalle polveri sottili dell'indifferenza _ proprio così, tutto è penetrabile e come la luce ha la doppia natura del corpuscolo e dell'onda, e come corpuscoli si insinuano nello spazio libero dalle onde, e come onde si infrangono sulle scogliere corpuscolari _ via da chi rinuncia e non ti lascia tentare, via da chi ti infanga e non rinuncia a mentire, in tutti quei ricatti stesi ad aspettare nel dispositivo umano definito amore _ la scelta è quella di allontanare, di stendere un mare, senza accontentarsi della scelta più semplice, e più promettente, spostarsi, camminare.

La sconfitta è un'eleganza per l'ipocrisia di chi si arrende in partenza

(Subsonica, L'ultima Risposta, "L'Eclissi", 2007)


sabato 24 maggio 2008

una scelta non giusta

Ho paura, David.
(Hal 9000 al dr. Dave Bowman in 2001: Odissea nello spazio, di Stanley Kubrick, 1968)

Ecco, forse non era l'Isola la soluzione. Nemmeno il Deserto. Forse era sbagliato pensare di allontanarsi per ritrovarsi, quando si è animali esclusivamente sociali; forse non era sempre stato così, e c'erano stati momenti di fierezza nella solitudine orsina che spesso lo caratterizzava, lo contraddistingueva. Ora, sembrava essere stata la scelta peggiore, ora alla luce delle paure che sentiva, che lo attanagliavano e lo riducevano ad una larva irrazionale di pensieri e scenari apocalittici e rimorsi e debolezze. Ecco, non doveva essere l'Isola, né il Deserto, non era più così grizzly da cercare la pace da sé, sempre più scopriva che erano solo quella silenziosa Moltitudine, il Numero, e la logica della Testimonianza, a recare conforto, sicurezza e pace.
Non giudicava se gli piacesse o meno, ma sapeva che nell'assenza ne sentiva il desiderio, e nella presenza avvertiva il peso di sé sugli Altri.
Il Tutto pervaso da una vena di paura, che rigurgitava ad ogni istante di quiete mentale, senza una tregua, e come se ogni sinapsi fosse una lente, ingigantiva gli Eventi, i Problemi, le Iniziali.
Quando si vive così, è un po' come morire, cantava qualcuno e lui pensava, ripeteva.
L'unica scelta, prima che fosse sbagliata, era rifugiarsi, nei gesti degli Altri e nei luoghi degli Altrove.


Allor fu la paura un poco queta
che nel lago del cor m'era dutata
la notte ch'i' passai con tanta pièta.
(Dante Alighieri, Inferno, I)

mercoledì 21 maggio 2008

la ripartenza

[...] queste prospettive di un viaggio medio-lungo, mai lungo abbastanza, mai troppo corto. Come dire un viaggio, e basta. E l'ennesimo, ancora, da dire "Basta!", fra passati rassicuranti, consolatori, confessionali, protettivi, rifugiferi; e presenti tutti in moto gastrico, che ribolle lo stomaco di violenti conati, voglio solo vomitare tristezze e felicità, rancori e gioie; passati, presenti, infine futuri, persone nuove, nuove emozioni, sentimenti, paure futuribili nel futurama color rame, il colore dei fili elettrici, dell'energia che si sprigiona sfrigolando sfregando una penna al maglione di lana, in questo autunno fuori stagione, stagione fuori di sé. Il senno, se si perde senso è perdere senno. Parole a caso? Forse, forte, forme. Il paroliberismo è fascio solo nella storia, pure coincidenze. Ma se crediamo nella coincidenza, illuminiamola per renderla già una possibilità, la possibilità di un'occasione o di un'isola (se felice, vedremo). Cogliere l'attimo, l'istante fuggente da fuggiaschi della bellezza come siamo, noi che rifuggiamo rifiutando la semplicità di stare bene insieme con noi stessi, fra noi stessi e noi altri, che voi stessi è termine troppo riduttivo, poi non vuol dire granché. Ti farò vedere cosa può serbare un libro, tra le pagine, non solo tra le righe. Viaggiare per andare incontro alla vita. Augere è far crescere, germogliare, come i fiori è una similitudine banale, non vale il gioco mutarla in metafora. Che poi, perché si dovrebbe parlare difficile? Partire è come fare ogni volta un testamento per una morte momentanea, un coma etilico di esperienze. Domani, passata l'ebbrezza, ci sarà un grande solitario mal di testa, ma ora le aspirine nel supermarket sono disponibili ai più, a prezzi modici: il prezzo della serenità e poco più o poco meno di due. E non c'è un tempo per l'impulsività, solo l'attesa di chiedersi ogni giorno quando sarà il momento, senza disturbare, di cacciare fuori. Impacchettare e spacchettare, raccogliere e spostare, andare. Se tutto sta finendo, per ricominciare oggi, questa è una mia piccola catarsi.

«Cadere non è fare movimento»
(la madre di Coso in Lost)

martedì 20 maggio 2008

l'antipasto

La vendetta è un antipasto freddo, un buffet di iniziative, la vendetta è un repertorio di azioni; non esiste un'ideologia della vendetta, ma come tutte le scorrettezze è una specie di ciclovirus (tipo herpes) che resta in circolo dopo la prima manifestazione, resta in circolo per tutta la vita, e riemerge prepotente quando il fisico o la mente o l'anima sono particolarmente deboli, sotto stress.
È per questo motivo che evitava di contrarla, la vendetta come reazione, non faceva per lui; credeva fosse una dote dei deboli, e per quanto si ritenesse assai debole in quel momento, era una dote che non voleva portare allo sposalizio con la nuova vita. Preferiva mantenersi corretto, quasi procedurale, burocraticamente ritualistico, ligio alla norma della lettera scritta, sforzandosi di raccontare i fatti e non i sentimenti, più per non restarne sempre e ancora coinvolto fino al pianto, che per una reale volontà di trasposizione ad altri del proprio vissuto. Concetti difficili, che vengono su dal nero del caffè mattutino. Da troppo tempo faceva i conti con la paura del male, e da troppo tempo ragionava sul male della paura. L'aveva pensata così, per fare effetto sul lettore.
Ma la vendetta, sarebbe stata solo una risposta misurata sulla quantità di male, come il rabbocco della cattiveria ad un distributore. Ma a differenza di certe benzine, non avrebbe pulito il motore, no; doveva e voleva solo chiudere tutta la faccenda, restando fra i protagonisti il buono. Il Bene era la sua amata debolezza.

venerdì 16 maggio 2008

la buttigliomachia

Vento di cambiamento nella politica italiana?
Buttiglione confessa che nella DC c'erano molti gay, e che non è rilevante la sessualità nelle questioni pubbliche. Mi sembrava che avessero tutti un'opinione diversa, in merito, ma è possibili ch'io mi sia solo distratto ai tempi.
Dice anche che «Per quanto mi riguarda, invece, nessun uomo mi ha mai fatto la corte o, perlomeno, se è successo non me ne sono mai accorto».
Non avevo dubbi, ma il meglio è la solita affermazione di conoscenza (vedi post "il lanzichenecco"): «Ho avuto invece molti amici omosessuali, anche grandi amici».
Citando Giovanni Testori, non tanto perché gay, ma perché cattolico, si lava la coscienza dall'impurità del contatto?
È finita la mitologia giustificazionista del "Lo Sono Stati Anche Grandi Personaggi Del Passato", e via sciorinando elenchi di pittori, scultori, architetti, scrittori.
Serve una pragmatica mitologia del "lo è anche il signor rossi, quello dell'otto per mille".

mercoledì 14 maggio 2008

diario dal bordo

Oltre questa linea, se mi muovo, c'è qualcosa di nuovo. Sono indubbiamente ad una svolta, senza sapere dove voltarmi. Tutto questo sporco bisogna levarselo dagli occhi, ma non basteranno ammoniaca e simili.
Intanto ci sto, sul bordo di una geometria che non conosco.


Siccome Dio poteva creare una libertà che non consentisse il male ne viene che il male l'ha voluto lui. Ma il male lo offende. È quindi un banale caso di masochismo.
(Cesare Pavese)

martedì 13 maggio 2008

deo gratias. out there

Il Direttore della Specola Vaticana afferma: «È possibile credere in Dio e negli extraterrestri (...) senza per questo mettere in discussione la fede nella creazione, nell'incarnazione e nella redenzione». Così l'astronomia smette di essere campo dell'ateismo professato, a patto che si dica che gli extraterrestri li ha creati Dio.(Repubblica.it)

A vedere certi esseri (eletti ed elettori) aggirarsi per i labirinti politici del nostro paese non più così bel, però, mi chiedo se "vita intelligente" non sia un termine un po' iperbolico, e se tale Dio non si stizzisca nemmanco un tot a sentirsi dare la responsabilità di talune creazioni.


Soprattutto, sarebbe da chiedersi se a questo punto, ammessa la creazione divina di creature non terrestri, perché abbia scelto questo pianeta per popolarlo proprio di idioti.


La verità, oltre ad essere nel mezzo, è là fuori?

lunedì 12 maggio 2008

implosioni

(...) fenomeno opposto all'esplosione, il cui effetto finale è una concentrazione in un piccolo spazio di materia ed energia. In un'implosione le strutture collassano su loro stesse, e la materia viene risucchiata all'interno. Il segreto di tutto questo sono due elementi che, uniti, generano il fenomeno: la sfera e la spirale. Tutto si dirige al centro della spirale, quando cariche sferiche poste ai margini del tutto vengono fatte esplodere, generando così il movimento centripeto. L'implosione può essere tanto rumorosa quanto l'esplosione, ma è più timida, non invade alcuno spazio al di fuori del proprio.
Le sapeva già queste nozioni, il Palazzo, mentre sentiva rigurgitare le viscere come l'acqua di una vasca da bagno. Non poteva fragorosamente schiantarsi nello spazio intorno, a poco a poco che i pilastri di cemento venivano frantumati, microesplosioni per una enorme implosione, è da riconoscere che chi le ingegna ha creatività, ci vuole tatto per queste cose, per condannare un Palazzo a morire su se stesso, senza storie, senza disturbare. Un po' una violenza, forse, negare il diritto all'ultimo desiderio, il crepitus dell'ultima confessione. Un Palazzo che implode, non può scagliare nel mondo il proprio ricordo, pochi attimi, dieci secondi in media, e sarà polvere concentrata, in un perimetro stabilito, spettacolo per spettatori affascinati dalla distruzione di tutto ciò che sembra inutile, vecchio, freno al futuro.
Il Palazzo cadeva sulle sue possenti ginocchia, scoppiati i polpacci, massacrati i tendini, prostrandosi al progresso che è annichilimento, svuotato di ogni anima, piano per piano, costola per costola, si avvicinava al suolo polveroso e sgombro. E nel momento in cui avrebbe dovuto essere vuoto di tutto, nascevano nuovi pensieri sul destino.
Il destino, così silenzioso in fondo, così ineluttabile, discreto nel suo avverarsi quanto inopportuno nel suo svelarsi, il destino è solo l'ultima implosione (...)

Explode or implode
explode or implode
we will take care of it
yes, we will carry you
(The Cardigans, Explode, "Gran Turismo", 1998)


giovedì 8 maggio 2008

and when he goes, he goes with a smile (e non è autobiografico)

Pensa che oggi sia una giornata "meglio", glielo si legge in faccia. Non è felicità, non direttamente, niente di intrinseco al suo stato o di indipendente dal mondo esterno: semplicemente, è consapevole che oggi è meglio. Ci sono attenzioni per lui, ci sono cure, e carezze possibili. Non ci sono canzoni che può usare per dire le cose, perché le parole riesce a trovarle da solo. E anche se ha una fottuta paura degli inizi, perché non è mai troppo capace di gestire i momenti di passaggio, forse per la troppa impulsività, per la tendenza a tingere tutto di emozioni a volte eccessive, incontenibili e quindi incontenute, strabordanti; anche se ha paura dell'inizio, sa che là fuori, oltre la cortina di fumo della sua eterna sigaretta, oltre la barriera che innalza minuzioso fra i pensieri e gli accadimenti, oltre il limite di sé stesso, spesso invalicabile o troppo facilmente abbattuto c'è un paesaggio popolato, popoloso, popolare. Lo chiama mondo, perché è mondo dal male dei piccoli universi tragici, dell'impermeabilità dell'ottuso infantilismo. Ed è un mondo di persone che ama, e che forse lo amano (così lui capisce, senza chiedere). E oggi, dopo tempo, camminerà sorridendo di più. Un giorno una sua amica, rispondendo all'annosa domanda «Quando starò meglio? Quando saprò che è finita?» gli rispose: «Forse, sorriderai più facilmente». Ancora adesso la ringrazia, come ringrazia ogni giorno chi lo aiuta, a volte sono persone che svicolano la gratitudine non perché non ne traggono piacere, ma semplicemente (gli piace pensare) si trovano di fronte ad una mole che non riescono a gestire. È difficile gestire chi, come lui, tende a inondarti di emozione. Basta saperlo, per sorridere più facilmente. E non pretendere più di ciò che si ha, bere sempre un sorso in più, nel caso un giorno si abbia sete.
Oggi è una giornata meglio, e lui è io.

«And when he goes, he goes with a smile»
(The Cranberries, Desperate Andy)

mercoledì 7 maggio 2008

il lanzichenecco

Il nuovo sindaco di Roma, detto Alemanno, non ha nulla dell'Alemagna, paese di florida tradizione democratica, in cui una manifestazione chiassosa come la Love Parade è ambita, e mai ostacolata, perché simbolo di pluralità e libertà dell'esistenza. Detto Alemanno, alla annosa nonché annuale domanda «Gay Pride sì o no?», risponde che il problema non è «omosessuali sì, omosessuali no» (senza che gli venisse chiesto a riguardo, o che fosse questo il problema, ma va bene così...), quanto piuttosto «esibizionismo sessuale sì, esibizionismo sessuale no».

Scatta com'è ovvio la polemica. Inutile l'affermazione di rispetto verso le persone gaya priori. (Ma queste sono sottigliezze dibattimentali che non interessano le pagliose code omofobe.) Inutile l'affermazione di rispetto delle persone gay
attraverso la dichiarazione di conoscenza di alcuni individui della categoria; conoscere un gay non vuol dire rispettarlo.

Le associazioni insorgono e sfoderano il famoso topos dell'«omosessuale buono per la destra è quello che si nasconde». Sempre efficaci, alcuni strumenti della retorica, quasi una class gay action.
Come se l'omosessualità fosse di sinistra (ma Gaber non lo diceva, perché non è così che è): vedere GayLib, di cui conosco alcuni militanti, che trovo ripugnanti nella loro ideologia dei piccoli passi, e nella strenua difesa della famiglia naturale. Costoro propongono un corteo in giacca e cravatta. Non meno kitsch, a mio parere, di una sfilata di paillette e boa di struzzo.

Ci si può rendere ridicoli in diversi modi. Io sono per l'orgoglio, per coltivare l'orgoglio di comunità.
Ma in Italia non vedo comunità GLBTQ, solo un coacervo di primedonne scalpitanti di fervore rivoluzionario, per questo non ho mai aderito a niente che richiedesse una tessera diversa da quella della Biblioteca Comunale o delle Fotocopie, o tessere "necessarie" al regolare svolgimento dell'attività quotidiana, come quella della Mensa.

L'orgoglio arcobaleno, in un arcobaleno in cui c'è anche il nero, sembra impossibile.
La città alla fine credo che permetterà la manifestazione, altrimenti si attirerebbe l'odio di molti, e svelerebbe una natura preistorica che ricordiamo sotto il nome di Qualcosa.

La risposta a tutto, è sempre e comunque un sonoro "Ma a noi?".

martedì 6 maggio 2008

come dire che in Leibniz percepisce Proust e lo fa suo

«Non c'è posto come casa» diceva la bambina del Mago di Oz. In questo periodo ho avuto modo di riflettere molto sul concetto di casa. È qualcosa di sfuggente, o meglio, di volubile, come l'umore, perché la casa è un sentimento, un umore appunto, uno stato d'animo. Le mura ne sono la forma, il confine soltanto, per quanto ogni spazio per avere un senso attribuito necessiti di una delimitazione di significati e territori: la casa è un territorio significante, forse. C'è che la definisce quel luogo «dove, quando ci andate, vi accolgono sempre» (David Frost), o «dove vai quando non hai altro posto dove andare» (Bette Davis); in ogni caso è un luogo in cui aleggia un'atmosfera carica di ατμός, un qualche vapore, sentimenti condensati in una fitta nebbia di parole e sguardi. E un territorio significante, ossia uno spazio vissuto come luogo. Ma «Nulla è più triste che il trovarsi in una casa dove le persone e le cose che dovrebbero essere le più intime ci sono quasi sconosciute» (Carlo Maria Franzero). È per colpa di queste riflessioni che ci si sente facilmente un apolide, o un homeless, o qualsiasi altra figura che si caratterizzi per un nomadismo imposto dai sentimenti.
La (mia) casa è nelle persone, quindi ovunque ci siano persone che mi fanno sentire a casa. Lapalissiano? Presto anche sul mio nome verrà inscritto:

«Ahimè, La Palice è morto, è morto davanti a Pavia; ahimè, se non fosse morto sarebbe ancora in vita.»

lunedì 5 maggio 2008

questo non è un sogno

...allora, adesso te lo racconto, quel sogno. Anche se forse non dovrei? È vero che si dice che se racconti il sogno alla persona che c'è nel sogno questo sogno non si avvera. Ma per avverarsi dovrebbe essere un sogno premonitore. Io non so se lo è. Potrebbe, in effetti. No, non credo. Però che dici, te lo racconto? Non è che te lo racconto per chissà quale motivo, no, solo così, perché noi a queste cose non ci crediamo, vero? Infatti. Credo che non succede niente se te lo racconto. Anche se ho il dubbio che forse, ecco, come dire, meglio che me lo tengo per me, dici? Certo è solo un sogno, pure breve, per quanto quando si dorme non è che si abbia una percezione del tempo esatta, diciamo. Tu sì? Io no, davvero. Beh, ma come te ne accorgi? Puoi risalire approssimativamente all'ora dell'addormentamento, e stabilire l'ora del risveglio. Al massimo sai quante ore di sonno hai fatto. Ma non puoi sapere se hai sognato per tutto questo tempo. Sì, lo so che chi ha studiato ste cose dice che si sogna in continuazione, che i sogni che ci ricordiamo sono quelli della fase appena prima il risveglio. Ma cosa cambia? Cioè, io so di aver fatto questo sogno prima di svegliarmi, perché dopo mi sono svegliato con le sensazioni che mi aveva suscitato, capisci? Come che sensazioni? Allora vuoi che te lo racconto? No? Poi non si avvera, certo. Ma noi non ci crediamo, mi pare almeno tu non ci credi, vero? Io forse un po'. Beh, insomma, a noi piace raccontarci le cose, no? Ci raccontiamo, cioè, ti racconto anche questa, che c'è di male? Forse, forse hai ragione, è una di quelle cose che ci si tiene per sé, guarda, ho pure fatto male a dirtelo, anche se dici di no, cioè che cosa ti importa se ho fatto un sogno che c'eravamo noi? Beh, niente di male comunque, per rassicurarti. E niente di osceno, mi pare. Un bel sogno. Cosa? Vuoi che te lo racconti ? Vediamo. Immagina, allora, un tavolino da bar, di quelli che si mettono fuori, e una spalla...