martedì 24 febbraio 2009

la riflessività della sostanza

È giunta l'ora di parlare del testo della canzone di Povia, Luca era gay, presentata al 59° Festival della Canzone Italiana di Sanremo.
Premetto che l'arrangiamento è maledettamente bello, la canzone in quanto musica ci è piaciuta molto.

Ma veniamo al testo e analizziamo perché questo non ci piace, affermando in sostanza che Povia è del tutto libero di raccontare le storie che vuole, ma quello che irrita è il modo, l'accostamento delle parti del discorso.
Nonostante l'ammissione di non utilizzo delle risorse cliniche:

«(...) non sono andato da psicologi psichiatri preti o scienziati sono andato nel mio passato ho scavato e ho capito tante cose di me(...)»

il Nostro ricade in alcuni stereotipi:

«(...) mia madre mi ha voluto troppo bene un bene diventato ossessione piena delle sue convinzioni ed io non respiravo per le sue attenzioni mio padre non prendeva decisioni ed io non ci riuscivo mai a parlare stava fuori tutto il giorno per lavoro io avevo l’impressione che non fosse troppo vero (...)»

La teoria qui esposta è la classica teoria di fine Ottocento di derivazione freudiana, che accusa della "perversione" omosessuale la presenza di una figura materna (il femminile) troppo asfissiante e la mancanza di una figura paterna autoritaria (il maschile, il Super-Io).
E ribadisce:

«(...) c’era chi mi diceva “è naturale” io studiavo Freud non la pensavo uguale (...)»

Quello che sembra è una messa a posto della coscienza sul discorso della natura patologica dell'omosessualità, proponendo un lavoro su di sé che comunque porta alle medesime conclusioni cui sarebbe giunto il lavoro psicanalitico, dimostrando così la natura riflessiva della conoscenza nell'età tardo-moderna (cfr. Giddens, Le conseguenze della modernità, 1990).

Finita l'introduzione intimistica del testo, la vicenda umana di Luca si svolge secondo copioni puramente stigmatizzanti:

«(...) un uomo grande mi fece tremare il cuore ed è lì che ho scoperto di essere omosessuale con lui nessuna inibizione il corteggiamento c’era e io credevo fosse amore sì con lui riuscivo ad essere me stesso poi sembrava una gara a chi faceva meglio il sesso e mi sentivo un colpevole (...)»

La gravità di questa parte risiede tutta nella colpevolezza che Luca avverte nell'azione che lui compie. Egli ha già inteso di non essere omosessuale, ma persevera in quello che a tutti i costi Povia vuol farci intendere come un errore necessario per tornare sulla via virtuosa dell'eterosessualità.

Il resto del testo lo immaginiamo, la conoscenza con la donna che amerà e che lo riporterà al modo "naturale", che lo aiuterà a risolvere la questione intima del rapporto con la madre (leggi: "il gay è mammone") e con il padre (perdonandolo, egli rifiuta l'influenza pervertente della sua mancanza, riequilibrando le parti del suo essere naturalmente eterosessuale).

La riflessione che nasce è questa: di sicuro questa è una storia singola, che Povia ha scelto di cantare e raccontare per motivi che possono sicuramente spaziare dalla bieca pubblicità scandalo al più importante e preoccupante coinvolgimento ideologico.
Ma bisogna pensare che la consapevolezza dell'omosessualità è un percorso che modifica profondamente l'intimità di una persona, e che una volta conclusosi con esito "positivo" (in senso scientifico di: reale, dato, fattuale), ossia quando si sceglie di accettare la nuova verità, non permette di tornare facilmente indietro.

Quindi, per noi, Luca é gay, ma sta anche con lei. La sera lo ritroviamo in chat con il nick "sposatobsx".

mercoledì 11 febbraio 2009

pornografia della morte

Enrico Mentana si dimette perché dopo la morte di Eluana il palinsesto non decide di evitare spettacoli indecorosi come il Grande Fratello. Sono d'accordo sull'indecorosità del Grande Fratello, in generale, ma ricordo che la morte di Eluana è la morte di un privato cittadino, per quanto le sue sorti siano state seguite a livello nazionale. E trovo più sconcertante che 20 minuti dopo la notizia della dipartita, Rai1 ci abbia propinato l'immancabile edizione straordinaria di Porta a Porta, o che all'annunzio in Parlamento siano partite schermaglie da totoscommesse. Per quanto la vicenda di Eluana ci abbia coinvolto come spettatori, essendo stata spettacolarizzata senza essere in campagna elettorale (ma poi, se ne esce mai dalla campagna elettorale?), se si fosse fermato il mondo per questo evento, sarebbe significato qualcosa di molto grave: che lo scandalo della morte non siamo in grado di affrontarlo. Credo che chi si sia sintonizzato, l'altra sera, su X Factor o sul Grande Fratello, abbia espresso il più grande segno di rispetto verso Eluana e suo padre, rispettando il dolore senza strumentalizzarlo per mettersi a posto la coscienza.
Trovo altresì ripugnante che dopo il silenzio invocato dal sig. Englaro, si continuino a fare collegamenti eccezionali da Udine, e si continui a rovistare fra l'organizzazione della cerimonia funebre o negli ultimi secondi di "vita". 
Per non parlare del fatto che trovo soprattutto medievale la retorica della vita come dono. A tutti coloro che pensano che la vita sia un dono, chiedo: i vostri figli ve li hanno regalati a Natale? 
Così si conclude uno degli esempi più gravi di ingerenza dello Stato. E non so ancora se è una cosa buona, che il decesso sia avvenuto prima dell'emanazione di una legge. 
Avanti, adagio. 


martedì 3 febbraio 2009

per una sociologia dell'amicizia

Secondo i pensatori classici, l'amicizia è la relazione elettiva per eccellenza, in quanto prescinde da vincoli di sangue, parentela ecc., e si basa essenzialmente sulla libera scelta, in quanto due persone decidono di instaurare una relazione di amicizia, o di riconoscerla, aldilà delle non-appartenenze reciproche. Alla base di una relazione che ha fondamenta così poco "organiche", vi è il sistema della fiducia e della reciprocità. 
La fiducia è considerata come l'aspettativa che l'altro rispetti la reciprocità. Questo rispetto non deve essere necessariamente manifesto, ma si deve in un certo senso avvertire, ossia deve essere attribuito un senso comune alle situazioni, siano esse caratterizzate da compresenza nel tempo e nello spazio, da vicinanza o da distanza sia nel tempo che nello spazio. 
In altre parole, l'amicizia è una relazione che non si esaurisce nel momento in cui vi sia la separazione degli attori, ma che continua oltre la non-coappartenenza territoriale, in quanto, come abbiamo detto, è elettiva. Le forme più comuni di mantenimento della relazione amicale con l'altro lontano sono essenzialmente quelle della comunicazione mediata da mezzo (telefono, internet, ecc.) e si caratterizzano per una frequenza che non è avvertita come ricorrenza, perché non è prestabilito l'intervallo di silenzio, ma che necessita di un certo grado di impegno a seconda del livello di complessità/consistenza della relazione che si è dilatata. L'altro non deve però percepire che vi sia un distacco, detto in termini volgari, è fondamentale che si possa avvertire e coltivare un certo interesse nel mantenere vivo il rapporto d'amicizia. 
Solitamente, quando un rapporto di amicizia non sopravvive alla distanza o alle interruzioni, e ogni volta che capita di dover riattivare la relazione sembra di ricominciare da capo, ci si trova davanti a qualcosa che non è una relazione di amicizia, ma che si scopre una relazione di aiuto. Una relazione di aiuto è una relazione fra due attori che spesso può non essere elettiva, ma che si instaura fra un soggetto che ha bisogno di aiuto da parte di un altro soggetto, che a sua volta trova nel primo il soddisfacimento di una sua esigenza del tutto simile. In altri termini, nella relazione d'aiuto, uno si appoggia all'altro. Questo tipo di interazione è caratterizzata da un elevato livello di esclusività e da una frequentazione morbosa con contenuti poco rilevanti, spesso limitati all'ironia e orientati ad un cinico sarcasmo verso il mondo esterno. È una relazione che nel breve-medio periodo produce livelli molto alti di felicità nelle persone che sono coinvolte, ma che spesso non regge la prova della dilatazione. 
Chiaro che chiamiamo dilatazione della relazione qualsiasi situazione di sospensione della relazione, quand'essa non sia ancora ufficialmente terminata, dovuta ad un aumento della distanza fra gli attori. 
La differenza fra la relazione d'amicizia e la relazione d'aiuto, è che la prima è immune alle dilatazioni, in quanto quando la situazione si "rapprende" l'interazione riprende, anche se non vi è stato, nel periodo di sospensione, un significativo scambio comunicativo esplicito, ma è rimasto vivo l'interesse alla relazione; la relazione d'aiuto, invece, esaurisce la sua forza creatrice quando i due attori si allontanano, e spesso vengono sostituiti da altri attori in grado di supplire all'attore mancante, perché fondamentalmente nasce come una relazione utilitaristica, finalizzata al raggiungimento di uno scopo egoistico, in cui l'interesse non è rivolto alla relazione, ma al sé. 

domenica 1 febbraio 2009

davanti agli occhi

Guardando le tele di Magritte e leggendo spezzoni del suo pensiero, ci si rende conto che era un uomo fondamentalmente disgustato dalla vita del suo tempo, da come le cose stavano andando in quell'intervallo fra le atrocità della guerra segnato dalle atrocità della politica. 
È così che, come dice l'inscrizione all'inizio della mostra, l'arte di Magritte è rigorosamente inutile, non serve a risolvere i fastidiosi problemi della vita quotidiana dell'uomo del suo tempo. Fedele al decadente e lapidario Wilde (forse senza volerlo), Magritte esprime il massimo fine dell'arte, quello di non avere alcun fine, dato che «Tutta l'arte è completamente inutile» (O. Wilde, Prefazione a Il ritratto di Dorian Gray, 1891), perché così dev'essere, se essa ha da essere tramite della sensazione del piacere. 
Lo stesso piacere che anche Magritte doveva provare, nell'immobilità bidimensionale (ma con uno sguardo alla terza dimensione) delle sue opere. Lui ci fa divertire, perché egli stesso si divertiva, a metterci gravemente sotto accusa attraverso le sue rappresentazioni, a costringerci a creare le interpretazioni più ricche e barocche che possiamo mai alambiccare per trovare un senso agli oggetti, ai personaggi, ai luoghi che ci ha dipinto davanti agli occhi. 
Quando l'unico senso, se ce n'è, nelle opere di Magritte, è proprio il davanti agli occhi che spesso non vogliamo considerare, perché ci sembra la più semplice e quindi la meno attraente spiegazione: la natura ci fornisce tutti gli elementi che ci servono per entrare nel mondo di un'immaginazione magrittiana, senza che pensiamo ad un surrealismo spinto o ad un astrattismo estremo. Magritte altro non fece che dipingere divertendosi, perché già di per sé la natura fisica e quella umana gli apparivano abbastanza  surreali, che il grosso del lavoro di confusione era già fatto. 
Lui si fece solo portatore di quella contraddittorietà della bellezza quando questa è semplice, davanti agli occhi, quando è così diretta che non siamo in grado di comprenderla. E ci rise su, con una risata che seppellì il buonsenso del senso comune, ridando luce e colore all'immaginario collettivo come questo si dispiegava sotto le spinte prettamente umane, di tanti uomini in bombetta, che molti hanno chiamato Storia.  

Una mostra a Milano.