mercoledì 24 dicembre 2008

in prima fila

Ho sempre detestato coloro che si fanno vezzo di un comportamento esplicitamente antinatalizio.
Coloro che continuano a dire: io odio il natale, ah il natale cattocapitalista, e altre simili ideologie da quattro urla.
Vorrei che si rendessero conto che non c'è nulla di originale o di veramente anticonformista, nel mantenere questo atteggiamento apertamente critico. 
Niente di originale, o di veramente rivoluzionario, nel dichiarare incessantemente le solite opinioni sul natale: che è un evento commerciale, che è una festa religiosa e allora se sei ateo non la festeggi, ecc.
Sì, abbiamo capito. 
Cosa cambia? 

Vorrei che si rendessero conto che non c'è nulla di originale, o di particolarmente interessante, questo vorrei, caro Abbonato Rai. 

sabato 13 dicembre 2008

luxuria e capriccio

Questo è solo un pretesto per dire la mia su una questione sollevata la scorsa settimana da Vladimir Luxuria ad Annozero (4 dicembre 2008), e riguardante la legge anti violenza che la Sinistra aveva presentato ai tempi del suo governo, e che includeva il reato di violenza per discriminazione anche di orientamento sessuale e identità di genere.
Mi chiedo come sia possibile che oggi, essendo il 2008, ci si possa opporre ad una legge che vieta la violenza che si attua su base discriminatoria, in particolare all'estensione della protezione a persone discriminate in base al loro orientamento sessuale e alla loro identità di genere, solo per fare un dispetto politico, solo perché l'ha proposta la parte avversa.  
Quando invece questo non ha a che fare con gli schieramenti politici, ma soltanto con i diritti umani, di cui tanto si parla in questo periodo data la ricorrenza. 
Sicché i gay di destra possano continuare a picchiare i gay di sinistra? 

mercoledì 3 dicembre 2008

2.0

Succede così che nell'era del web 2.0, nell'era dei social network, di Facebook e compagnia bella; succede che si vengano a sapere le cose attraverso l'automatismo delle notifiche sugli stati dei componenti della vostra rete. Si viene così a sapere la loro situazione sentimentale, la localizzazione attuale, piuttosto che gli eventi cui partecipano o i gruppi cui si sono iscritti, gli interessi e l'attività relazionale (sempre rigorosamente del tipo duepuntozero: ha commentato il suo stato/la sua foto, l'ha taggato in un video, eccetera). 
Il problema non è che questo avvenga, ormai nell'ordine delle cose e tacitamente accettato da tutti coloro che utilizzano certe interfacce sociali, ma che persone che denunciano il degenerare del social network verso forme convergenti di dating o instant messenging, poi si ritrovino ad affidare all'arguto occhio di un social (ma sempre virtual) network quello che altrimenti avrebbero affidato ad una comunicazione convenzionale, come quella su cui si basano i rapporti sani e sinceri.
Forse sarò all'antica, ma io preferisco quando non viene dato per scontato che io stia tutto il dì allo schermo del mio Facebook, e le cose mi vengono comunicate prima che io le scopra su una bacheca pubblica. 
Sarò all'antica, ma io penso ancora che certe cose siano personali, esclusive.
Certe comunicazioni, certe attenzioni

martedì 2 dicembre 2008

il palinsesto

Io credo nelle coincidenze, ossia in quegli strani eventi del tempo e dello spazio per cui diverse cose che riteniamo collegate fra loro per via di un qualche filo rosso si concentrano, amplificando l'intensità del contenuto. È per questo che credo sia solo una coincidenza se ieri in un deplorevole talk show dal nome Italia allo specchio si parlava dello scandalo sugli affitti non concessi perché omosessuali, con tanto di fazioni pro e contro (e vi garantisco l'ignoranza basilare dei contro); e oggi su un canale secondario andava in onda una puntata di dubbio gusto di una vecchia serie tv americana, Alice, in cui lei ha un certo feeling con lui che poi scopre essere omosessuale, e non vuole che il piccolo figlio, che impazzisce per questo eroe del rugby, vada a pesca con lui, ma poi si ricrede, tra l'imperversare dei "finocchio" e delle allusioni anni 80, e dell'ottusità del salame sugli occhi degli amici che non vogliono crederci perché "non sembra un rinnegato" (complimenti per l'adattamento italiano, sono curioso di conoscere la versione americana); se oggi l'episodio dei Simpson iniziava con una Gay Parade. 
Io credo nelle coincidenze, nelle fortunate coincidenze dei palinsesto.

venerdì 28 novembre 2008

40 piccoli urbani

La neve a Milano rende tutto più lento, perché la velocità trova il suo acerrimo nemico nel ghiaccio che ammanta di scivoloso l'asfalto, e la neve che fa resistenza all'incedere dei passi sul marciapiede. La neve a Milano bisogna solo sperare che duri, e che non ci piova sopra, altrimenti la città e fango che si attacca ai pantaloni, e che si fa spruzzare divertito dalle auto degli sciamannati. 

Oggi preso l'autobus per andare a casa di una vecchia amica. Linea numero 40, è un percorso tra le periferie di Milano Ovest-Nord Ovest. Un tempo la sfruttavo per andare in Università, dove era il capolinea. L'altro, è casa mia. La Quaranta vive del Gallaratese, poi dopo il Cimitero Maggiore di Musocco si inerpica per le viuzze del quartiere Certosa, da cui si inoltra senza timore nel grande Quarto Oggiaro, a partire da L.go Boccioni per poi sciogliersi fra via Arsia, via California, e le viuzze delle case dell'INA che portano il nome delle valli alpine, per poi rotolarsi sulle grandi direttrici che portano al quartiere Bovisa, ai piedi dell'immenso mall "Metropoli", e poi dritto verso l'ex manicomio, e via un pezzo di autostrada per poi rientrare in città al cospetto dell'ospedale Galeazzi, esperto in ortopedia e robe affini, al quartiere di Bruzzano, dove un altro cimitero aspetta l'arrivo di vecchie signore devote. Tangendo senza disturbare il Parco Nord, uno dei polmoni della città, passa al quartiere Niguarda, il maggiore ospedale. Una linea di periferie di cimiteri e ospedali, interessante a pensarlo. Dopo Niguarda, il percorso dei grandi spazi si ridimensiona per tuffarsi nel vecchio quartiere operaio di Greco-Bicocca, dove c'era la Pirelli, la Breda, e ora c'è l'Università e la Collina dei Ciliegi, e orribili architetture residenziali gregottiane come l'Explanade. Un quartiere che vissi a fondo, ogni volta dopo 45 minuti o un'ora di tragitto; un luogo sempre lontano: in macchina, in metro, in bus. Lontano come solo può esserlo l'altra parte della città.

Consiglio a tutti i non-turisti a Milano di concedersi, per un giorno, un viaggio sulla 40.
Per capire il concetto di margine e quello di confine, anche nell'esperienza metropolitana.

Oggi ho preso l'autobus, e a dirlo mi sento un quindicenne. È tenero e divertente. 

giovedì 20 novembre 2008

neanche a pagarli

Vergogna scenda sulle teste degli incoscienti proprietari, che anche a costo di mantenere una casa sfitta tornano al pecunia olet dei buonisti della Morale. Complimenti a tutti coloro che non affitterebbero mai a un gay nemmeno a pagarli. E meno male che c'è la crisi e dovrebbe tirare più un lembo di euro che altro... Qui l'intervista, qui la notizia sul quotidiano nazionale, e qui un commento . 
Buon ribrezzo a tutti. 

martedì 11 novembre 2008

babele di silenzi

Triste e amara la notizia della chiusura della storica libreria Babele di Milano, zona Cadorna, rifugio e primo approdo lieve dei giovani alla ricerca della consapevolezza. Un luogo familiare, dove si tornava appena si poteva, o appena se ne sentiva il bisogno, o anche solo risorsa di un sabato pomeriggio, per provare a cercare tra le pagine, tra gli scaffali, tra le righe quello sguardo diverso, uno sguardo su un futuro desiderato. Dopo l'addio, un anno fa, al grande Gianni, l'addio ora alla sua creatura, fra i silenzi di chi avrebbe potuto annunciarlo. 

lunedì 10 novembre 2008

la paura fa l'emerito

La lingua italiana possiede un aggettivo, un attributo che vale per situazioni diverse: emerito. Messo davanti a un altro vocabolo, ne amplifica il valore. In questo caso decidiamo di posizionarlo prima di Presidente della Repubblica o Senatore a vita, ma andrebbe anche bene che precedesse termini quali fascista, idiota, o malato di mente. L'emerito Cossiga consiglia alla polizia di lasciare che la protesta studentesca continui, senza intervenire, finché non ci rimettono un anziano, un bambino, o un commerciante. Finché, siano di destra o di sinistra, non attacchino la polizia in borghese. Solo allora, intervenire: perché ci sia consenso serve che la gente abbia paura dei manifestanti. Per riportare un po' di ordine in questo triste mondo malato che purtroppo la Gladio non seppe cambiare. Per fortuna ci saranno le ronde, ma ne parleremo a tempo debito
Per ora è solo necessario ripensare il valore del senatorato a vita: non concediamolo solo perché si è stati Presidente della Repubblica, a prescindere dall'idiozia, dal retrovirus fascista o reazionario che si portano nelle ossa e nelle vene taluni personaggi che continuiamo a osannare per aver fatto la storia di una presunta Italia.

mercoledì 5 novembre 2008

V

Remember the 5th of november, quando Obama divenne il primo presidente nero degli Stati Uniti. 

E i politici italiani di ogni parte tifavano per lui, perché siamo un popolo di cavalcatori di carri trionfanti. 

martedì 4 novembre 2008

politicons

Scaricate i nuovi emoticons per la valutazione del rendimento sul lavoro! I cinesi l'hanno già fatto, perché non possiamo farlo anche noi? Ora li copiamo, sai che rivincita!

Presto sul mercato anche il nuovo Messenger per comunicare con i politici in tempo reale, con la nuova serie "politicons" per valutare il loro rendimento in democrazia. 
Affrettatevi.

giovedì 30 ottobre 2008

ultima ratio

Ieri è stata una giornata violenta. La violenza è qualcosa che si sviluppa a grappolo, e questa volta è partita dal punto che rappresenta il detentore legittimo della violenza, e che dovrebbe garantirne il non-utilizzo. L'approvazione del decreto, la sua trasformazione in legge, è un atto di violenza politica, l'espressione di un potere rigido, impermeabile alla mediazione o anche solo alla riflessione: una legge che non è una riforma, ma un semplice taglio spese di un'azienda. 
Così la violenza dentro al Parlamento non è da meno della violenza, più fisica, più giovane, più bruta, fuori dal Parlamento, per le vie del corteo di protesta. Ne è degno riflesso. 
Lo Stato è legittimo detentore della forza, sosteneva Weber. Ma lo Stato, in Italia, sembra fatto dai black blocks degli studenti e dai black blocks dei politici, Silvio e Maria Stella in testa all'armata della cultura del fare, che è una cultura che non contempla il pensare. 
Così protestiamo per il futuro, stuprato già allo stato embrionale. Depravati.  

martedì 28 ottobre 2008

l'arte del governo

Così come nel governo delle Cose Pubbliche, anche in quello delle Cose Private c'è bisogno di adottare una certa politica, un'arte del governo delle Relazioni, di qualsiasi natura esse siano. Si chiama politica della vita
Così si trova un ordinamento, un codice di comportamento, norme sul funzionamento, come tali costituite di diritti e doveri. Nel dialogo con l'Altro, l'Io ha nei suoi confronti dei doveri, e ha dei diritti che l'Altro deve garantire, e questa è una struttura reciprocamente considerata. Nell'adempimento dei doveri entrano in gioco diversi fattori, com'è logico che sia: il tempo a disposizione, la locazione della relazione, l'intensità del contenuto, i significati: spesso si tratta di un codice normativo implicito, tacito, che si basa sulla reciproca fiducia e fedeltà, suscettibile di essere anche considerata una sorta di fede nell'altro, in quanto la stabilità di una relazione permette di dare per assodati alcuni fondamenti. 
Quando l'Io percepisce che l'Altro non ha adempiuto ad un dovere, pur avendo l'Altro la possibilità di farlo, o addirittura l'accordo, sorge il problema primario dell'analisi della motivazione, della causa. Le teorie che l'Io sistematizza per spiegare la questione sono diverse, e partono spesso da un assunto di natura individuale, senza riscontro: che il rapporto sia sbilanciato, e che l'Io investa troppo nella relazione con l'Altro, o perlomeno di più di quanto l'Altro non faccia. Sicché l'ipotesi di rivendicare un diritto negato, o l'aperta denuncia di un dovere cui l'Altro ha disatteso, si tinge di dichiarazione di insofferenza, di esclusività pretesa, di gelosia nei confronti dei fattori che possono (nella mente dell'Io) aver contribuito alla mancanza. 
In questo modo la fede torna ad essere una semplice fiducia, e si rimette in discussione il fondamento di una relazione, finché non si arriva a scegliere uno solo dei fattori che contribuirebbero all'adempimento dei doveri: il tempo. Così si sceglie la via del silenzio, e si attende senza sperare granché, solo ammettendo la difficoltà, l'unica cosa che si attende è che l'Altro se ne renda conto. Così la relazione un po' muore (forse in attesa di nuovo vigore?), ma è inevitabile che ad una certa l'Io si sfianchi di inseguire l'Altro nei suoi peregrinamenti, che lo tangono senza saluti, come se non gliene importasse niente. 

un sessantotto, e grazie per la considerazione

Dopo 40 anni esatti si torna nelle piazze, gli studenti rinverdiscono le modalità che i loro padri raccontano con orgoglio, o con abiura. 
L'avvicendarsi delle generazioni si ha ogni 15-20 anni, secondo la sistematizzazione, ancora valida, di Mannheim. Ci sono quindi volute dalle due alle quasi tre generazioni perché l'Università tornasse in piazza a manifestare per la propria salvezza. 
Purtroppo siamo un popolo di romantici nostalgici, e non possiamo evitare il confronto con la ribellione del Sessantotto, cercando di cogliere nessi, differenze, uguaglianze. Io mi esonero dal paragone. Quello che vedo, però, è una certa vitalità che è stata per troppo tempo estranea alla popolazione scolastica italiana, per quanto ogni anno sia epoca di picchetti, autogestioni, occupazioni. Ricordo una lunga occupazione in quarta liceo, 10 giorni, preceduti da una settimana di autogestione (con i collettivi onnivori e onniscenti), e seguiti da qualche giorno di cogestione (termine che credo venne inventato ad hoc per significare un'autogestione di studenti, con i loro collettivi, e professori, con lezioni sulle tematiche e le motivazioni dell'agitazione). Belle esperienze. 
Quello che vedo è una protesta sana, trasversale, una protesta "per categorie": gli studenti universitari per l'Università, destra sinistra centro centrodestra centrosinistra centrocentro insieme; gli studenti universitari per le lezioni ad ogni costo, perchè non è vero che il fancazzismo è di sinistra e il secchionismo di destra; gli studenti delle superiori per la Scuola Superiore; e così via. 
La protesta non ha niente di politico, è apartitica, checché i Vespa, i Mentana, i Vari strumentalizzino e cerchino di farla confluire nella gelminiana "campagna di disinformazione della Sinistra sulla Riforma". 
Quello che accomuna tutti in un'unica protesta è la lotta contro un certo modo della politica di fare le cose: andare avanti nonostante tutto. Far credere che non si è capito, che siamo tutti rincoglioniti e non leggiamo le cose. Grazie per la considerazione. Dire che siamo pochi - ma si sa che le rivoluzioni (se questa lo è, non lo so), o comunque le proteste arrivano da minoranze, se arrivassero dalle maggioranze sarebbe comune opinione. Intortare dicendo che si guarda a Obama per le riforme della scuola, quando il Barack spinge per più fondi alla scuola pubblica, e non a tagli a destra e a manca. 
Perché non siamo scemi che si parcheggiano all'Università, passivi, a subire le decisioni che dall'Alto piovono "nonostante tutto". 
E perfavore, chiudete Studio Aperto: rispetto gli studenti che vogliono fare lezione, e gli studenti che vogliono manifestare; ma mi sembra una bieca operazione demagogica usare gli uni contro gli altri con maliziosi montaggi video. 
Cattiva Maestra. 

mercoledì 22 ottobre 2008

ritorno al cannibalismo

Quelli che quando tornano da due giorni fuori Città scoprono che la propria sorella ha mandato in crash, se non addirittura reso buono per la sepoltura, il tuo portatile che da poche settimane è uscito dalla garanzia di un anno, e che prima della tua partenza funzionava perfettamente. 

giovedì 16 ottobre 2008

maso giustizia

Art. 27, comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana:

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Per quanto disumano possa essere stato il reato si tratta di «pena, non vendetta» (Mastronardi). 

tutti a gomorra

L'elemento con cui la Camorra non ha fatto i conti è la risonanza. Il concetto di risonanza, all'interno di un discorso sui media, è fondamentale. Se l'obiettivo delle minacce (vere o presunte, false) a Saviano è quello di terrorizzare l'opinione pubblica o il popolo della strada, la strategia è del tutto fallimentare. Il potere del libro è quello di poter essere letto girando di mano in mano, o comunque è l'esistenza stessa dell'opera ad essere il principale ostacolo all'obiettivo di una strategia del terrore. Venendo a conoscenza di progetti di morte dell'autore, il telespettatore che ancora non avesse letto Gomorra sarà invogliato, per un carattere tutto italiano a voler sapere tutto di tutto a mo' di gossip, a consultare le pagine del libro, ad acquistarlo, leggerlo, a venire a conoscenza del perché la criminalità organizzata ce la possa avere con Saviano. Qualunque sia il destino di Roberto, la sua Parola (dato che lo stiamo sempre più dipingendo come portatore di una verità - di pulcinella, forse?) è ormai girovaga nelle coscienze, sulla pagina stampata o sulla pellicola. Semmai, se proprio, avrebbero dovuto minacciarlo prima che uscisse il volume. Il Terrore si sfama di Ignoranza. Sicché la strategia di minaccia è del tutto sterile; comunque, farebbe di Saviano un eroe, così come la Mafia fece (per fortuna) di Falcone e Borsellino.


mercoledì 15 ottobre 2008

una considerazione

«Ma da quand'è che non sei più vegetariano?»

A ben vedere, il vegetarianismo, per quanto si bei di essere un'alternativa al sistema, e alla carneficina del bestiame da allevamento e non, è in fondo un lusso del capitalismo: scegliere cosa non mangiare è possibile solo nell'abbondanza della Società del Benessere, e nella sostanza l'individuo vegetariano è un privilegiato che sfrutta le possibilità progressive del capitalismo, non un combattente contro il sistema. Rispetto ancora, tuttavia, la scelta vegetariana come filosofia di vita, piuttosto che come scelta etica o politica.  

Ridimensioniamo le ideologie, che se non son morte, sono comunque un po' vecchiotte.

Per uno sguardo sociologico sul quotidiano. 

martedì 14 ottobre 2008

la Storia

Storie.

N. e A. sono due ragazzi che vivono insieme da 5 anni, nella città di A. 
N. è straniero. A. ha un'attività da 7-8 anni, una cosa sua, in cui ha messo tempo e denaro, e ora va bene. N. si è appena laureato e i suoi genitori gli hanno trovato lavoro nel Paese natio. La famiglia di N. non ha mai accettato la storia con A. Pensano che facendolo tornare a casa, N. rinsavirà. 

C. è un ragazzo del Sud che a 19 anni salì a Nord per fare l'Università, forse anche per sfuggire alla repressione. Da un anno e qualcosa ha un ragazzo, con il quale da un mese e qualche giorno è andato a vivere. Adesso ha 24 anni e sta per finire l'Università. 

M. e D. vivono da un paio d'anni nell'hinterland della Grande Città. All'inizio M. non voleva saperne.

Storie. Ancora Storie.

mercoledì 8 ottobre 2008

il giorno ritrovato

Premessa: tre anni a Trento significano, fra le altre cose, tre anni senza mercoledì. La metà della settimana nella Città del Concilio è come un momento di pausa, di sospensione di ogni giudizio e di ogni azione umana: la maggioranza delle attività si riposa; ci vogliono tempi lunghi per scovare ciò che resta a disposizione dell'utenza foreste.
Oggi, a Milano, è mercoledì. Tornare a Milano diventa così anche sinonimo di riconquista del mercoledì come giorno, come spazio di tempo sensato. Un giorno che può incominciare con un pranzo in piazzetta Liberty con una vecchia amica («Non ci sentiamo mai, ma come vedi siamo ancora qui»). Un salasso che ci si accolla volentieri: la bellezza ha un che del sacrificio. Camminare per le vie del Centro è sempre stata un'esperienza al limite, per me. Non ho mai frequentato la zona del Duomo con spasmodica assiduità; come per molti dei milanesi (intendendo con questo termine coloro che vivono Milano, a Milano) il Duomo è quasi soltanto una grande chiesa nella piazza storica della City. È lì, biancorosa, a vegliare sulle persone e sui luoghi, è un punto (enorme, certo) fermo. I più non l'hanno ancora visitato, lo faranno prima o poi, aspetta lì, la Mole. C'è anche di mercoledì. 
Il sole ti aiuta a non chiuderti ore ed ore in una libreria, o nei negozi, nei grandi magazzini della mondanità o in metropolitana: il tram è sempre il mezzo migliore per spostarsi in maniera poietica per la piccola mela della grande Milano, quando c'è il sole di ottobre; presto lo rimpiangeremo, ma il milanese non sa lamentarsi dell'inverno, gli va contro come con l'alcol dopo la sbronza. Percorri il pavet su rotaia scorgendo da un finestrino opaco le guglie marmoree della Madonnina, indovinando dietro l'angolo Guastalla, quello che una volta era il ghetto ebraico, dietro la Biblioteca Sormani, antichissimo archivio di cultura. Il tram sa fermarsi anche davanti al Palazzo di Giustizia: in Italia sono tutti uguali, con quell'architettura lineare, razionale, fascista e solida; ma come non pensare che questo di Milano non sia probabilmente il prototipo, il primo esemplare? Scendere in Cinque Giornate ti riporta alla storia dell'Ottocento, all Porta Tosa barricata contro Radetzky, alla primavera delle indipendenze. Non sai più perché ti sei spinto così in là, ma c'è il sole, ecco, questo potrebbe bastare. Torna in mente che volevi andare alla Rotonda della Besana, c'è una mostra sui nuovi volti di Milano, una mostra sulle persone nei luoghi, sulle persone sui mezzi pubblici, sul movimento delle cose e delle genti. Non avevo mai visitato la Besana, e ho scoperto uno spazio misterioso, circolare come il tempo, dove sedersi e godere della linearità di un luogo di punti equidistanti. 
È ora di tornare a casa, il sole è dietro i palazzi, e si sceglie la via più lunga. Si prende il tram (di nuovo, sempre, appena si può) e si può andare fino a Porta Genova, lo sguardo al Naviglio è sempre confortante. Si può salire sul ponte della ferrovia, fare un po' di trainspotting, ridiscendere e trovarsi nella via del design e della moda, zona Tortona, percorrerla e comprarsi una bibita fresca in lattina alla Standa, solo 43 cent. E andare a prendere l'autobus che ti riporterà a casa, quell'autobus che prendevi a mezzo tragitto per tornare da scuola, a volte, alle medie. È stato furbo prenderlo al capolinea, oggi, l'autista pazzo inanellava gialli e rossi relativi, lasciava le persone in attesa alla fermata perché non le vedeva in tempo. 
Ma tanto, oggi, c'è stato il sole. Anche se è mercoledì. 

lunedì 6 ottobre 2008

albe

Milano è bellissima, al mattino. Costretti ad uscire di casa alle 7, si viene inondati di luce, quando c'è luce e anche quando le nuvole avide ne privano. Milano è una luce tutta sua, che sprigiona dal vetro dei palazzi di servizio, dalle finestre delle case affacciate. Dalla macchina, riscaldata contro il gelo frizzante dell'ottobre milanese, si possono ammirare muri colorati inondati di luce. Semplicemente, luminosa Milano. La circonvallazione è trafficata, un lunedì mattina come un altro, lunedì mattina per tutti, ma si scorre fluidi sull'asfalto che sembra il letto di un fiume. In questi giorni il vento ha spazzato via le nuvole di questo autunno che è arrivato improvviso, che ha preso il posto che voleva sulle giacche pesanti, e già si tirano fuori le prime sciarpette,  e ci si soffia il naso un po' ovunque. 
Milano è bellissima, di notte. Scende il sole, e mille nuovi soli si accendono sulla strada, hanno fame di vita, dediti a illuminare il passo della metropoli. C'è la metropolitana, quello mi mancava, sferragliante serpente, ma bonario: si torna a vecchi giochi di sguardi, ridendo con un'amica che il destino ha fermato in città per una notte, coinvolgendo un altro passeggero seduto di fronte: niente parole, ma anche lui ride mentre noi giochiamo a indovinare la vita degli altri. Loro non lo sapranno mai, quante volte ci siamo visti e conosciuti. La metrò, ti porta dove vuoi, forse sarebbe da potenziare nelle ore notturne, permettere alla gente di muoversi senza baldacchini motorizzati. Ci penseremo, ci penseremo. Intanto Milano è la città delle prospettive, quelle della vita e quelle urbane dei lunghi viali alberati. Un cartello sull'autobus dell'infanzia mi informa che la città ha qualcosa come una sessantina di parchi, tra piccoli e grandi, e centottantamila alberi, e via dicendo: lo so, è la Milano che pochi conoscono, non la sanno quelli che si fermano in stazione e dicono "Grigio". Ma anche il grigio è un colore. 
Semplicemente, luce. 

mercoledì 1 ottobre 2008

la violenza del risveglio

Le gabbie di ferro della Burocrazia spesso possono costringerci a fare i conti con le nostre insicurezze, perché sono lo specchio delle debolezze del Sistema (fuck the system!). Andando a rifare la carta di identità, scaduta in concomitanza con la fine degli studi (isn't it ironic?), mi viene chiesto: cosa mettiamo nel campo occupazione? Beh, signorina, ecco, io mi sono laureato, ho finito, sono Dottore Magistrale in Sociologia. Sì, però i Sociologi hanno un albo professionale? E lei, è iscritto a quest'albo, se c'è? No. E no. Allora non posso mettere Sociologo, per quanto ci sia qui nell'elenco. Quali sono le possibilità? Guardi, infinite! (infinite in quale direzione?) Beh, sono disoccupato. Sì, ma piuttosto che mettere disoccupato su un documento che le durerà 10 anni (secondo la nuova normativa), metterei un generico "impiegato", è l'unica. 
Un generico impiegato. Che compra Lavoro e Carriere in Edicola. Un generico impiegato.

Quando si diventa ciò per cui si ha studiato? E come? 

«Certo che non si può stare ore e ore ad attendere»
«Lei che numero ha, signora?»
«Centoventuno»
«Uh, è pure prima di me, io ho il centoventotto»

Eh, signore, non si sfugge alla matematica delle Poste. 

domenica 28 settembre 2008

riflessione semiseria sulla morte delle ideologie

Mi è successo, ieri sera, di assistere a "Un giorno in pretura", programma di divulgazione processuale, in particolare la seconda parte del processo a Wanna Marchi e Stefania Nobile, nonché al Maestro Don Nascimento ecc... per le famose questioni che la democrazia di Striscia la Notizia ci ha fatto conoscere.
A sentire le testimonianze delle vittime, non riesco a non pensare che... No, non può essere l'ignoranza, come dicono le casalinghe di Voghera, a spingere queste persone a cacciarsi nel guajo vannamarchiano. Non può essere l'ignoranza, perché comunque fra le vittime ve ne sono anche di "studiate", e come ci insegna la statistica sociale (scusate il Dottore Magistrale) la variabile livello di istruzione non spiega in maniera esaustiva il fenomeno. Non sono vittime di mediocre posizione nella gerarchia sociale, o con bassi redditi. Altre due variabili, status e reddito, accantonate.  
Ma l'analisi della vittima è molto complessa, e quindi la tralascio. Mi premeva mettere in chiaro che non è il caso di blame the victim. Non sempre chi è causa del suo mal, pianga se stesso. 
Quello che accomuna le vittime del Trio Ascié è la debolezza. 
Sentite le testimonianze: in quel momento non avevo nessun altro aiuto, ero confuso, casualmente ho sentito alla TV, facendo così con il telecomando, o la mattina facendo il sugo... 
Analizziamo la situazione. 
Gli elementi sono tre: un aggressore motivato, il trio; un vittima designata, la persona in difficoltà; l'assenza di un guardiano capace, ché non si può proibire a Loro di trasmettere, se hanno permessi, concessioni e via dicendo la libertà di informazione e il diritto di recesso amen. Tre elementi che concorrono all'avvenimento criminale. 
Le vittime sono persone sole davanti alla TV. Wanna ha solo saputo cogliere l'attimo, con la certa drammatica viltà di quando, al banco dell'imputato, osa piangere la miseria di una vita. (Come ci ricorda Matteo B. Bianchi in Generations of Love, siamo tutti cresciuti, noi degli Ottanta, con le grida di Wanna e l'asma di Roberto, il fascino della drammatica potenza di personaggi tra il popolare e il divino!).
Come ogni criminale razionale, ha calcolato il beneficio e l'opportunità.
 

La Parte Civile afferma, più o meno: non diamo la colpa a chi ha contattato la Marchi, la Nobile e il Maestro, non diciamo che "chi è causa del suo mal, pianga se stesso"; il Legislatore, quando ha definito il reato di truffa, ha voluto tutelare queste persone, queste persone che, in quanto deboli, o in momenti di difficoltà, è più facile che cadano nell'inganno. 

Non stiamo a dire che sono ignoranti, o sceme, e quindi credulone. Pensiamo invece che tutto questo ha a che fare con il Male. 

La genialità del Male.

giovedì 25 settembre 2008

il raduno

E così, era lì, a raccogliere e radunare le sue cose, sempre meravigliandosi di quanto si possa accumulare in pochi mesi, anche in un piccolo spazio come quello. Raccoglieva con lentezza, con lentezza decideva cosa mettere dove. In che sacchetto, in che scatola, in quale valigia (l'unica che aveva). Scopriva di avere libri che non pensava di aver portato con sé.
Tutto rallentato, dopo il risveglio dei bagordi. 
La sera prima aveva subìto il rituale del distacco, come un Santo alla fine della Processione. Un rituale carico, improvviso, e salvifico: aveva così confermato le presenze, confermato l'esistenza, ovunque questa si fosse dispiegata in futuro, oltre lo scandalo della morte, della scomparsa, del non. 

giovedì 18 settembre 2008

fogli di un autunno imprevisto

E se restasse? Se anche solo tornasse, dopo una pausa? 
Le opportunità, al margine del foglio, sembrano più numerose. Quel foglio, su cui non sa se saprebbe ancora scrivere qualcosa di importante. Sono fogli lasciati a macerare, quel che è scritto resta lì, se vale la pena che venga letto. Sa rileggersi a tempo debito. Sono poche pagine, quelle che lascerebbe, e sempre pronte a uscire dalla risma, per farsi rivedere. 
E se restasse? Come sarebbe? 
Non può certo immaginarlo, né prevederlo. Può solo pensarlo. 
Pensiero della stabilità, in una realtà in cui non pensava si sarebbe ritrovato bene. 
Se anche solo tornasse?

You're kidding yourself, you're going nowhere, but you're going there fast.

giovedì 11 settembre 2008

la particola

Trovo vagamente imbarazzante per il genere umano intiero la retorica della fine del mondo che si è scatenata in questi ultimi giorni in concomitanza con la pubblicizzazione delle attività del CERN di Ginevra. L'acceleratore di particelle costruito in 20 anni, l'esperimento per riprodurre il Big Bang e simili amenità. La storia del buco nero che inghiottirà la Terra se qualcosa dovesse andare storto (considerando che sarebbe comunque l'Isvizzera la prima vittima di ciò, poco male), e menate varie, ma più di tutte la storia del bosone di Higgs o "particella di Dio", in grado di dare la massa alle cose. 
Ho trovato seriamente eccessive le preoccupazioni degli scettici e dei creazionisti in primis riguardo al demone della Scienza che si ritorce contro l'Uomo del Progresso Scientifico o cose così. Considerando che non si sta tentando di riprodurre il Big Bang, e anche fosse ciò avverrebbe in situazioni di estrema microinfinitesimezza controllata ad hoc. Considerando che non è che le cose vengono fatte così, per la prima volta, ci sono state prove e prove. Considerando che il buon esito dell'esperimento si rivelerebbe grande inizio per lo studio e l'utilizzo di alte energie. Considerando che perchè ci sia un buco nero, devono collassare cose molto più importanti. Considerando che nel caso si riproducesse il Big Bang ci sarebbe della Creazione, e non un Buco Nero. Altrimenti sarebbe vero che veniamo dall'annullamento...

mercoledì 10 settembre 2008

la materia concorrente

Ecco dov'era finita la gioventù della Città. 348 candidati per 15 posti in un esame di preselezione per un concorso pubblico. La mia prima esperienza a riguardo. Ecco dov'erano finiti i giovani metropolitani (e provinciali), tutti a cercare il posto pubblico fisso, a credere alla promessa di 24 mesi di contratto ben remunerato. Le ultime spiagge, le prime opportunità. Ecco dov'era finita la crema della movida, a studiare lo Statuto della Regione. Ma 15 posti sono pochi per non essere un numero così, a caso, di facciata. Lo scetticismo del giovane metropolitano che non sa se deve o se vuole tornare. La difficoltà di riprendere Milano.

giovedì 4 settembre 2008

l'assorbenza

«...porta e lo vide finalmente, di fianco all'amico. Era alto, tanto quanto, forse poco più, ma molto probabilmente della stessa altezza. Il viso allungato era racchiuso, come si dice nei romanzi, da capelli castani chiaro, leggermente ondulati, non lunghi, più corti che lunghi, e una barba incolta, come un leggero segno, un alone. Gli occhi chiari, sul verde con un po' di marrone (li aveva notati salutandolo sulle guance) erano vivaci e allo stesso tempo molto sereni, ci si perdeva nella loro acquosità (era l'unica parola che le venisse in mente). Le spalle erano larghe, e il torace ampio, era pieno senza essere scolpito, era pizzicabile (a detta dell'amico!), morbido di fianchi, senza che straripasse: insomma, era pieno, importante, umano. Aveva anche quel profilo addominale da birra e junk food che dona sostegno e appoggio, e fa sostanza. Tutti dettagli che si potevano intuire dall'abbigliamento: jeans e camicia (ma probabilmente, di giorno, jeans e polo, jeans e maglietta). Una camicia che faceva intravedere anche un certo pelo, sulle braccia, sul petto. Armonico. Li fece entrare, perchè bisognava approfondire la conoscenza di fronte ad un buon bicchiere. Mentre l'amico si intratteneva con il compagno dell'amica, lei interrogava discretamente il nuovo venuto. Scoprì che faceva il geometra di cantiere, ma che prima aveva lavorato in banca per un po'; si era laureato in ingegneria un paio di anni prima...»

giovedì 28 agosto 2008

intervista all'Autore

Autore: Sì, è vero. Il mio personaggio, o meglio il personaggio che ho creato... Beh, diciamo pure il mio personaggio, ecco, al mio personaggio capita questa cosa, che non ha una cadenza regolare, bensì, come dire, una cadenza accidentale, per quanto insomma possa essere accidentale una cadenza, ma così è, tipo gli capita ogni tanto di avere questo periodo, come si dice in inglese, the period, ha questo... questo "mestruo emotivo" (ride), sì, proprio così: cola emozioni, o cola emotività, sanguina emozioni ed emotività. Gli succede perché ha questo vizio, che poi è semplicemente una sua caratteristica, e però può essere anche un difetto, come può essere una cosa positiva, ha questa cosa che vive tutto così intensamente, che ogni cosa che vive a livello emotivo, o meglio, scusi, che vive ogni cosa a livello emotivo, e così ci sono dei momenti in cui si carica, per così dire, si carica e allora il suo corpo, anzi la sua anima, o comunque niente di fisico, ecco, deve in un certo senso spurgare (ride) e allora lui cola sentimenti, e lui non può farci niente, ha il mestruo emotivo, sì (ride).

Intervistatore: Non c'è proprio niente che possa fare? Non c'è uscita?

A.: È come dire che lui non può fare niente se non aspettare che passi. Come il mestruo vero e proprio. Poi passa. I tempi sono forse più lunghi, forse minori. Non c'è una regola. Anche perché lui, come si vede, non è che abbia dei metodi, e anche se ce ne fossero, non credo che li userebbe (ride) anzi, dato che l'ho creato io, le dico da subito che non userebbe alcun metodo. D'altra parte, non ci sarebbero assorbenti, no? (ride) È uno cui piace, in un certo senso, questo flusso di emotività, è vile in questo, molto vile, me ne rendo conto: lui crede così di essere vivo (sbuffa), o robe del genere, e chissà che non abbia ragione. Per questo si sente sempre in dovere, per così dire, di renderne partecipe le persone che ama. È una cosa molto fastidiosa, a mio parere.

I.: Eppure sembra che un metodo lo abbia trovato...

A.: A cosa si riferisce? Al gioco? Beh, quello non è un metodo, non è assolutamente un metodo (ridacchia). No, è tutt'altro, è come un mezzo che lui ha per sanguinare: a lui piace sanguinare, come dicevo, nel senso che non può farne a meno, lui accetta questo ciclo mestruale del Sé (ride) che dopotutto gli serve, forse, secondo me gli serve ogni tanto, lo mette di fronte a tutte le sue problematiche, a tutte le dimensioni del suo essere nel mondo, e soprattutto di fronte a tutte le non-dimensioni del suo non-essere, di quello che non è, che non è ancora e così via. Nessuno può bloccare il ciclo, credo.

I.: E il gioco, allora, che funzione avrebbe?

A.: Mah, il gioco che lui fa con le persone che ama ha del masturbatorio, in un certo senso, mi permetta. Lui va lì, e alle persone che ama chiede: immagina che una sera mi inviti a cena, io arrivo, tu apri la porta e siamo io e un'altra persona, logicamente si sta parlando dell'amore, della persona con cui fa coppia, e gli chiede: ecco, dimmi chi ti immagini di fianco a me, alla tua porta, com'è? Descrivi! Lei non lo trova masturbatorio all'eccesso?

I.: Se si tratta solo di un piacere personale...

A.: No, mi scusi, non mi sono spiegato. Non è masturbatorio e basta. Il fatto è, lei capisce, che se uno cola in quel mondo, beh, ad una certa sente il bisogno di indirizzare il flusso verso un'immagine, un'immagine che cerca di concretizzare, futuribile e futurosa (ride)...

I.: Insomma, è un romantico?

A.: Non in senso classico. Non vorrei che i lettori pensassero che il mio personaggio sia un personaggio romantico, alla ottocento tedesco, e robaccia simile; l'unico romanticismo che ha consiste nell'essere il personaggio di un romanzo. Più che romantico potrei dire che è... romanzico (ride).

I.: Tornando al gioco, e alla sua funzione...

A.: Sì, scusi, è che ci tenevo a precisare... (pensieroso) Comunque il gioco che lui fa, che lui chiede di fare alle persone che ama, diciamo pure agli amici, ecco, a lui serve perché in questo periodo di mestruazione emotiva (ride) lui deve, come dicevo, indirizzare il flusso della sua emotività verso un'immagine, ma non, si badi, non un referente terreno, né tantomeno un referente simbolico, solo lui trova questo bisogno, sì, trova di avere questo bisogno, gli nasce così, spontaneo, si potrebbe dire che fa parte del flusso, è nel flusso (pensieroso)... Questo bisogno, dicevo, di credere che tutto questo avrà un senso. Così fa costruire agli altri l'immagine che loro vedrebbero a suo fianco. Poi non è che si metta a cercarla da qualche parte, questo non lo può fare, però se comincia ad ottenere immagini tra loro simili, ecco, può anche capitare, diverse persone e immagini simili, allora non dico che è contento, o che questo plachi il suo sanguinare, però ha qualcosa su cui sanguinare, qualcosa da nutrire con le sue emozioni. Poi, questa immagine va via come il fazzoletto dopo...

I.: Così può spurgare, come diceva?

A.: Sì, può lasciare che il flusso finisca, ma non nel vuoto. Certo resta il lato masturbatorio, ed è una cosa molto fastidiosa, mi creda, molto fastidiosa.

lunedì 25 agosto 2008

qualche intimismo (mon noir désire)

«...che le cose capitano, ma quando non capitano? E poi, perché non capitano per così tanto tempo? Bisognerebbe cercarlo, questo amore, ma dove cercarlo? Come? E perché? E poi, cercarlo davvero? Per trovare cosa? L'amore, questo amore. O anche solo qualcuno, una persona a cui dire, a cui far capire: voglio solo dormirti addosso. Amico, non lo trovi estremamente romantico? Qualcuno quotidiano, con cui star bene. Ma come trovarlo? Senza cercare? Gli amici degli amici degli amici degli amici... Dicono sia questo l'unico modo sano, retto, Amico, per cercare, anzi per trovare. Ma io non ho più gli amici degli amici, né qui, né lì. Vorrei che le cose mi capitassero; a volte ho l'impressione di guardarmi intorno solo per vedere se c'è quell'Uno che potrebbe farsi dormire addosso. Quando non mi guardo intorno, forse è che non esisto? Io non lo so, Amico. Eppure. Mi sembra a volte di scoppiare, scopro ogni giorno di essere colmo di amore, che potrei dare e dare e dare senza chiedere mai il conto, senza pretendere mai niente. Questo mi fa paura. Forse ha fatto paura a tutte le persone che ne sono sfuggite. Devo smetterla di vivere le cose così intensamente. Ma non è possibile scendere a compromessi. Voglio solo qualcuno che mi dorma addosso, o qualcuno cui dormire addosso. Amico, non lo trovi così semplice? Forse per questo preferisco la panza, che fa sostanza e appoggio. No, non credo. Non ho più da tempo il tipo ideale. La serendipity, Amico, questo è quello che ho vissuto nelle meglio storie: come dire "quando meno te lo aspetti" e "da chi meno te lo aspetti". Dopotutto lo dici anche tu, io sono quello del "Lasciarsi innamorare". Quanto hai ragione, Amico, solo che forse non sai: è un prezioso consiglio che do agli altri, ma io... Io troppe volte mi sono tuffato, così, a bomba, ricordi quando ti dicevo che la solitudine poi, quando è interrotta di botto, porta a tuffi bomba, Amico? Raccontami, raccontami cosa si prova, adesso, perché sai, forse, si dimenticano quelli come me, quelli come me se lo dimenticano, non so nemmeno se ne sarei ancora capace. Mi chiedo se ci sia qualcuno che voglia dormire con me, semplicemente. Io mi faccio paura, per tutto quello che potrei amare, e faccio paura alle persone che amo, non so gestirmi da solo, tu hai capito che io non so gestirmi da solo, Amico. O meglio, io non so più gestirmi da solo. Ho perso il controllo, come se avessi sopito per anni ogni forma di acuto sentire, ora non so più lasciarmi innamorare, con quella gradualità che fa le cose per bene. Non sono mai stato graduale, ho sempre cercato - è un pensiero che mi torna in queste ore, in questi giorni - ho sempre cercato l'amore usando il sesso, che invece è un arrivo, e non può farsi partenza (conosci casi?). Come può lasciarsi innamorare uno così, uno come me? Io che ad ogni amplesso occasionale amavo? Era come se stessi amando ogni volta un perfetto sconosciuto? Grazie Amico, che ora che gioisco per te, mi costringi a confrontarmi con le mie mancanze, Amico, l'altra notte mi sono sognato nudo, e nudo mi sono svegliato, perché nudo voglio essere, forse. Vedi? Non so mai, sempre con questi forse. Ho i miei dubbi, ho i miei dubbi. E se avessi bisogno di una persona semplice, di quelle che quando torni a casa la sera la prima cosa che ti dice è: hai fame? Ma questo è uno scenario di vita quotidiana, come se io volessi fare casetta, come se io volessi stabilirmi in un luogo con una persona. È questo che desidero, secondo te, Amico? Io non lo so, forse. Le cose non capitano, e non posso farle capitare. Non so lasciarmi innamorare, io, non so. E non posso innamorare, no, chi troppo ama non ama mai davvero, dicono, anche se non ricordo chi lo dice. E io? Lo vedo lì, nero...»

mercoledì 20 agosto 2008

il riporto

«...poneva un interrogativo relativo all'influenza del contesto sul contenuto e l'intensità delle relazioni. Certo è da approfondire, a rischio di scadere nel criptico, la questione se sia possibile che una relazione possa essere ovunque. È in altri termini possibile che cambiando il contesto e l'ambiente sullo sfondo (e con essi il numero e la natura dei protagonisti), una relazione che in un luogo è in un modo, nell'altro non possa essere più così? È l'ambiente a influenzare contenuto e intensità, ossia le scelte di interazione e interrelazione degli attori coinvolti? O anche, è plausibile che l'intersecarsi di diverse relazioni muti profondamente la relazione in oggetto, tanto da mettere in discussione i fondamenti stessi della relazione? Quanto l'ambiente dell'azione condiziona la relazione? La plasma, la configura, le fa da sfondo, da repertorio di immagini e risorse? Che relazione fra la relazione e il contesto della relazione? Forse adottando una prospettiva sistemica, l'unica risposta è la consapevolezza delle influenze. Ma un sistema spazio - tempo - relazione ha troppe variabili, perché sia realmente accettabile come soluzione: se una relazione ha delle fondamenta solide, condivise, queste dovrebbero essere traslabili in un contesto diverso, essendo soprattutto le persone, in una relazione di siffatta natura, a determinare lo svolgersi della performance interattiva e relazionale. Bisogna stare attenti al determinismo ecologico, e allo stesso tempo ad una visione simbolico-interazionista. Se la relazione è performance, necessita di un frame in cui svolgersi. Ma se la performance ha una costruzione solida, essa dovrebbe di principio essere replicabile, con i dovuti assestamenti, in diversi frame, e in particolare in frame non molto dissimili fra loro. È certo da cercare una bibliografia a riguardo, ora che ci si è riportati...»

domenica 27 luglio 2008

fading

«...

Non c'è nessuno. Non c'è più nessuno. Le luci si sono spente, le porte si sono chiuse. Ha piovuto, ha fatto caldo.
Non c'è ormai nessuno. Tutto è smesso. Tutto un niente, un nessuno.
Le luci sono spente, l'asfalto è secco. Rimbombano i passi. Un'ultima domenica, questo succede sempre di domenica. Ma è l'ultima: non c'è già nessuno, rimbombano le luci e si è spenta la pioggia. Si scende, giù giù giù, «Non avrebbe mai smesso di precipitare?» ci si chiede nel Paese delle Meraviglie.
Finisce.
Nessuno c'è a finire il conto dei mesi. Le luci, spente. Le porte, chiuse. La pioggia, secca. L'asfalto, piovuto. Il gioco della sinestesia, esaurito. Non c'è nessuno. Più nessuno, ormai. È un'ultima domenica. L'ultimo degli ultimi giorni: e guardiamo la Città Laggiù.
La fortezza, l'isola minima, il rifugio, la salvezza, l'àncora, i cocci, l'umanità varia; le storie che non sono storie, le notizie che non lo saranno mai, i dialoghi ma non solo i dialoghi, l'Italia che c'è e quella che si vorrebbe ci fosse, il sentimento del sapere e la filosofia, il criptocritico, il detto-nondetto, le impossibili citazioni della vita.
Non c'è più nessuno. Niente.
La cura del forte, questo non blog, la piazza oltreoceano, le parole degli altri, le nuove malattie della fine e della solitudine
I bellissimi della rivoluzione.

Non c'è più nessuno, qui. Nessuno, nemmeno. Rimbomba niente. Vuoto. La musica, tace.
Non c'è più nessuno, qui.
Non ci sono più.
Non sono più.
Pouf!

...»

sabato 26 luglio 2008

i panni in Arno

Certo, però, che la fortuna premia gli audaci. Trasformandosi in sfortuna, in taluni casi. Tutto sta a interpretarla.

Come biasimare un uomo, aldilà del secolo di vita, che stanco di un'esistenza troppo a lungo esistita, decide di farla finita? Biasimo solo la teatralità.

Cinicamente, il barbiturico nell'intimo del proprio stambugio, non sarebbe più efficace e meno evitabile?

Ci sono fini che finiscono, e fini che solo iniziano.
Come diventare stupidi tentando di suicidarsi.

A voi la sentenza sulla cotale e cotanta notizia.