giovedì 30 ottobre 2008

ultima ratio

Ieri è stata una giornata violenta. La violenza è qualcosa che si sviluppa a grappolo, e questa volta è partita dal punto che rappresenta il detentore legittimo della violenza, e che dovrebbe garantirne il non-utilizzo. L'approvazione del decreto, la sua trasformazione in legge, è un atto di violenza politica, l'espressione di un potere rigido, impermeabile alla mediazione o anche solo alla riflessione: una legge che non è una riforma, ma un semplice taglio spese di un'azienda. 
Così la violenza dentro al Parlamento non è da meno della violenza, più fisica, più giovane, più bruta, fuori dal Parlamento, per le vie del corteo di protesta. Ne è degno riflesso. 
Lo Stato è legittimo detentore della forza, sosteneva Weber. Ma lo Stato, in Italia, sembra fatto dai black blocks degli studenti e dai black blocks dei politici, Silvio e Maria Stella in testa all'armata della cultura del fare, che è una cultura che non contempla il pensare. 
Così protestiamo per il futuro, stuprato già allo stato embrionale. Depravati.  

martedì 28 ottobre 2008

l'arte del governo

Così come nel governo delle Cose Pubbliche, anche in quello delle Cose Private c'è bisogno di adottare una certa politica, un'arte del governo delle Relazioni, di qualsiasi natura esse siano. Si chiama politica della vita
Così si trova un ordinamento, un codice di comportamento, norme sul funzionamento, come tali costituite di diritti e doveri. Nel dialogo con l'Altro, l'Io ha nei suoi confronti dei doveri, e ha dei diritti che l'Altro deve garantire, e questa è una struttura reciprocamente considerata. Nell'adempimento dei doveri entrano in gioco diversi fattori, com'è logico che sia: il tempo a disposizione, la locazione della relazione, l'intensità del contenuto, i significati: spesso si tratta di un codice normativo implicito, tacito, che si basa sulla reciproca fiducia e fedeltà, suscettibile di essere anche considerata una sorta di fede nell'altro, in quanto la stabilità di una relazione permette di dare per assodati alcuni fondamenti. 
Quando l'Io percepisce che l'Altro non ha adempiuto ad un dovere, pur avendo l'Altro la possibilità di farlo, o addirittura l'accordo, sorge il problema primario dell'analisi della motivazione, della causa. Le teorie che l'Io sistematizza per spiegare la questione sono diverse, e partono spesso da un assunto di natura individuale, senza riscontro: che il rapporto sia sbilanciato, e che l'Io investa troppo nella relazione con l'Altro, o perlomeno di più di quanto l'Altro non faccia. Sicché l'ipotesi di rivendicare un diritto negato, o l'aperta denuncia di un dovere cui l'Altro ha disatteso, si tinge di dichiarazione di insofferenza, di esclusività pretesa, di gelosia nei confronti dei fattori che possono (nella mente dell'Io) aver contribuito alla mancanza. 
In questo modo la fede torna ad essere una semplice fiducia, e si rimette in discussione il fondamento di una relazione, finché non si arriva a scegliere uno solo dei fattori che contribuirebbero all'adempimento dei doveri: il tempo. Così si sceglie la via del silenzio, e si attende senza sperare granché, solo ammettendo la difficoltà, l'unica cosa che si attende è che l'Altro se ne renda conto. Così la relazione un po' muore (forse in attesa di nuovo vigore?), ma è inevitabile che ad una certa l'Io si sfianchi di inseguire l'Altro nei suoi peregrinamenti, che lo tangono senza saluti, come se non gliene importasse niente. 

un sessantotto, e grazie per la considerazione

Dopo 40 anni esatti si torna nelle piazze, gli studenti rinverdiscono le modalità che i loro padri raccontano con orgoglio, o con abiura. 
L'avvicendarsi delle generazioni si ha ogni 15-20 anni, secondo la sistematizzazione, ancora valida, di Mannheim. Ci sono quindi volute dalle due alle quasi tre generazioni perché l'Università tornasse in piazza a manifestare per la propria salvezza. 
Purtroppo siamo un popolo di romantici nostalgici, e non possiamo evitare il confronto con la ribellione del Sessantotto, cercando di cogliere nessi, differenze, uguaglianze. Io mi esonero dal paragone. Quello che vedo, però, è una certa vitalità che è stata per troppo tempo estranea alla popolazione scolastica italiana, per quanto ogni anno sia epoca di picchetti, autogestioni, occupazioni. Ricordo una lunga occupazione in quarta liceo, 10 giorni, preceduti da una settimana di autogestione (con i collettivi onnivori e onniscenti), e seguiti da qualche giorno di cogestione (termine che credo venne inventato ad hoc per significare un'autogestione di studenti, con i loro collettivi, e professori, con lezioni sulle tematiche e le motivazioni dell'agitazione). Belle esperienze. 
Quello che vedo è una protesta sana, trasversale, una protesta "per categorie": gli studenti universitari per l'Università, destra sinistra centro centrodestra centrosinistra centrocentro insieme; gli studenti universitari per le lezioni ad ogni costo, perchè non è vero che il fancazzismo è di sinistra e il secchionismo di destra; gli studenti delle superiori per la Scuola Superiore; e così via. 
La protesta non ha niente di politico, è apartitica, checché i Vespa, i Mentana, i Vari strumentalizzino e cerchino di farla confluire nella gelminiana "campagna di disinformazione della Sinistra sulla Riforma". 
Quello che accomuna tutti in un'unica protesta è la lotta contro un certo modo della politica di fare le cose: andare avanti nonostante tutto. Far credere che non si è capito, che siamo tutti rincoglioniti e non leggiamo le cose. Grazie per la considerazione. Dire che siamo pochi - ma si sa che le rivoluzioni (se questa lo è, non lo so), o comunque le proteste arrivano da minoranze, se arrivassero dalle maggioranze sarebbe comune opinione. Intortare dicendo che si guarda a Obama per le riforme della scuola, quando il Barack spinge per più fondi alla scuola pubblica, e non a tagli a destra e a manca. 
Perché non siamo scemi che si parcheggiano all'Università, passivi, a subire le decisioni che dall'Alto piovono "nonostante tutto". 
E perfavore, chiudete Studio Aperto: rispetto gli studenti che vogliono fare lezione, e gli studenti che vogliono manifestare; ma mi sembra una bieca operazione demagogica usare gli uni contro gli altri con maliziosi montaggi video. 
Cattiva Maestra. 

mercoledì 22 ottobre 2008

ritorno al cannibalismo

Quelli che quando tornano da due giorni fuori Città scoprono che la propria sorella ha mandato in crash, se non addirittura reso buono per la sepoltura, il tuo portatile che da poche settimane è uscito dalla garanzia di un anno, e che prima della tua partenza funzionava perfettamente. 

giovedì 16 ottobre 2008

maso giustizia

Art. 27, comma 3 della Costituzione della Repubblica Italiana:

«Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato».

Per quanto disumano possa essere stato il reato si tratta di «pena, non vendetta» (Mastronardi). 

tutti a gomorra

L'elemento con cui la Camorra non ha fatto i conti è la risonanza. Il concetto di risonanza, all'interno di un discorso sui media, è fondamentale. Se l'obiettivo delle minacce (vere o presunte, false) a Saviano è quello di terrorizzare l'opinione pubblica o il popolo della strada, la strategia è del tutto fallimentare. Il potere del libro è quello di poter essere letto girando di mano in mano, o comunque è l'esistenza stessa dell'opera ad essere il principale ostacolo all'obiettivo di una strategia del terrore. Venendo a conoscenza di progetti di morte dell'autore, il telespettatore che ancora non avesse letto Gomorra sarà invogliato, per un carattere tutto italiano a voler sapere tutto di tutto a mo' di gossip, a consultare le pagine del libro, ad acquistarlo, leggerlo, a venire a conoscenza del perché la criminalità organizzata ce la possa avere con Saviano. Qualunque sia il destino di Roberto, la sua Parola (dato che lo stiamo sempre più dipingendo come portatore di una verità - di pulcinella, forse?) è ormai girovaga nelle coscienze, sulla pagina stampata o sulla pellicola. Semmai, se proprio, avrebbero dovuto minacciarlo prima che uscisse il volume. Il Terrore si sfama di Ignoranza. Sicché la strategia di minaccia è del tutto sterile; comunque, farebbe di Saviano un eroe, così come la Mafia fece (per fortuna) di Falcone e Borsellino.


mercoledì 15 ottobre 2008

una considerazione

«Ma da quand'è che non sei più vegetariano?»

A ben vedere, il vegetarianismo, per quanto si bei di essere un'alternativa al sistema, e alla carneficina del bestiame da allevamento e non, è in fondo un lusso del capitalismo: scegliere cosa non mangiare è possibile solo nell'abbondanza della Società del Benessere, e nella sostanza l'individuo vegetariano è un privilegiato che sfrutta le possibilità progressive del capitalismo, non un combattente contro il sistema. Rispetto ancora, tuttavia, la scelta vegetariana come filosofia di vita, piuttosto che come scelta etica o politica.  

Ridimensioniamo le ideologie, che se non son morte, sono comunque un po' vecchiotte.

Per uno sguardo sociologico sul quotidiano. 

martedì 14 ottobre 2008

la Storia

Storie.

N. e A. sono due ragazzi che vivono insieme da 5 anni, nella città di A. 
N. è straniero. A. ha un'attività da 7-8 anni, una cosa sua, in cui ha messo tempo e denaro, e ora va bene. N. si è appena laureato e i suoi genitori gli hanno trovato lavoro nel Paese natio. La famiglia di N. non ha mai accettato la storia con A. Pensano che facendolo tornare a casa, N. rinsavirà. 

C. è un ragazzo del Sud che a 19 anni salì a Nord per fare l'Università, forse anche per sfuggire alla repressione. Da un anno e qualcosa ha un ragazzo, con il quale da un mese e qualche giorno è andato a vivere. Adesso ha 24 anni e sta per finire l'Università. 

M. e D. vivono da un paio d'anni nell'hinterland della Grande Città. All'inizio M. non voleva saperne.

Storie. Ancora Storie.

mercoledì 8 ottobre 2008

il giorno ritrovato

Premessa: tre anni a Trento significano, fra le altre cose, tre anni senza mercoledì. La metà della settimana nella Città del Concilio è come un momento di pausa, di sospensione di ogni giudizio e di ogni azione umana: la maggioranza delle attività si riposa; ci vogliono tempi lunghi per scovare ciò che resta a disposizione dell'utenza foreste.
Oggi, a Milano, è mercoledì. Tornare a Milano diventa così anche sinonimo di riconquista del mercoledì come giorno, come spazio di tempo sensato. Un giorno che può incominciare con un pranzo in piazzetta Liberty con una vecchia amica («Non ci sentiamo mai, ma come vedi siamo ancora qui»). Un salasso che ci si accolla volentieri: la bellezza ha un che del sacrificio. Camminare per le vie del Centro è sempre stata un'esperienza al limite, per me. Non ho mai frequentato la zona del Duomo con spasmodica assiduità; come per molti dei milanesi (intendendo con questo termine coloro che vivono Milano, a Milano) il Duomo è quasi soltanto una grande chiesa nella piazza storica della City. È lì, biancorosa, a vegliare sulle persone e sui luoghi, è un punto (enorme, certo) fermo. I più non l'hanno ancora visitato, lo faranno prima o poi, aspetta lì, la Mole. C'è anche di mercoledì. 
Il sole ti aiuta a non chiuderti ore ed ore in una libreria, o nei negozi, nei grandi magazzini della mondanità o in metropolitana: il tram è sempre il mezzo migliore per spostarsi in maniera poietica per la piccola mela della grande Milano, quando c'è il sole di ottobre; presto lo rimpiangeremo, ma il milanese non sa lamentarsi dell'inverno, gli va contro come con l'alcol dopo la sbronza. Percorri il pavet su rotaia scorgendo da un finestrino opaco le guglie marmoree della Madonnina, indovinando dietro l'angolo Guastalla, quello che una volta era il ghetto ebraico, dietro la Biblioteca Sormani, antichissimo archivio di cultura. Il tram sa fermarsi anche davanti al Palazzo di Giustizia: in Italia sono tutti uguali, con quell'architettura lineare, razionale, fascista e solida; ma come non pensare che questo di Milano non sia probabilmente il prototipo, il primo esemplare? Scendere in Cinque Giornate ti riporta alla storia dell'Ottocento, all Porta Tosa barricata contro Radetzky, alla primavera delle indipendenze. Non sai più perché ti sei spinto così in là, ma c'è il sole, ecco, questo potrebbe bastare. Torna in mente che volevi andare alla Rotonda della Besana, c'è una mostra sui nuovi volti di Milano, una mostra sulle persone nei luoghi, sulle persone sui mezzi pubblici, sul movimento delle cose e delle genti. Non avevo mai visitato la Besana, e ho scoperto uno spazio misterioso, circolare come il tempo, dove sedersi e godere della linearità di un luogo di punti equidistanti. 
È ora di tornare a casa, il sole è dietro i palazzi, e si sceglie la via più lunga. Si prende il tram (di nuovo, sempre, appena si può) e si può andare fino a Porta Genova, lo sguardo al Naviglio è sempre confortante. Si può salire sul ponte della ferrovia, fare un po' di trainspotting, ridiscendere e trovarsi nella via del design e della moda, zona Tortona, percorrerla e comprarsi una bibita fresca in lattina alla Standa, solo 43 cent. E andare a prendere l'autobus che ti riporterà a casa, quell'autobus che prendevi a mezzo tragitto per tornare da scuola, a volte, alle medie. È stato furbo prenderlo al capolinea, oggi, l'autista pazzo inanellava gialli e rossi relativi, lasciava le persone in attesa alla fermata perché non le vedeva in tempo. 
Ma tanto, oggi, c'è stato il sole. Anche se è mercoledì. 

lunedì 6 ottobre 2008

albe

Milano è bellissima, al mattino. Costretti ad uscire di casa alle 7, si viene inondati di luce, quando c'è luce e anche quando le nuvole avide ne privano. Milano è una luce tutta sua, che sprigiona dal vetro dei palazzi di servizio, dalle finestre delle case affacciate. Dalla macchina, riscaldata contro il gelo frizzante dell'ottobre milanese, si possono ammirare muri colorati inondati di luce. Semplicemente, luminosa Milano. La circonvallazione è trafficata, un lunedì mattina come un altro, lunedì mattina per tutti, ma si scorre fluidi sull'asfalto che sembra il letto di un fiume. In questi giorni il vento ha spazzato via le nuvole di questo autunno che è arrivato improvviso, che ha preso il posto che voleva sulle giacche pesanti, e già si tirano fuori le prime sciarpette,  e ci si soffia il naso un po' ovunque. 
Milano è bellissima, di notte. Scende il sole, e mille nuovi soli si accendono sulla strada, hanno fame di vita, dediti a illuminare il passo della metropoli. C'è la metropolitana, quello mi mancava, sferragliante serpente, ma bonario: si torna a vecchi giochi di sguardi, ridendo con un'amica che il destino ha fermato in città per una notte, coinvolgendo un altro passeggero seduto di fronte: niente parole, ma anche lui ride mentre noi giochiamo a indovinare la vita degli altri. Loro non lo sapranno mai, quante volte ci siamo visti e conosciuti. La metrò, ti porta dove vuoi, forse sarebbe da potenziare nelle ore notturne, permettere alla gente di muoversi senza baldacchini motorizzati. Ci penseremo, ci penseremo. Intanto Milano è la città delle prospettive, quelle della vita e quelle urbane dei lunghi viali alberati. Un cartello sull'autobus dell'infanzia mi informa che la città ha qualcosa come una sessantina di parchi, tra piccoli e grandi, e centottantamila alberi, e via dicendo: lo so, è la Milano che pochi conoscono, non la sanno quelli che si fermano in stazione e dicono "Grigio". Ma anche il grigio è un colore. 
Semplicemente, luce. 

mercoledì 1 ottobre 2008

la violenza del risveglio

Le gabbie di ferro della Burocrazia spesso possono costringerci a fare i conti con le nostre insicurezze, perché sono lo specchio delle debolezze del Sistema (fuck the system!). Andando a rifare la carta di identità, scaduta in concomitanza con la fine degli studi (isn't it ironic?), mi viene chiesto: cosa mettiamo nel campo occupazione? Beh, signorina, ecco, io mi sono laureato, ho finito, sono Dottore Magistrale in Sociologia. Sì, però i Sociologi hanno un albo professionale? E lei, è iscritto a quest'albo, se c'è? No. E no. Allora non posso mettere Sociologo, per quanto ci sia qui nell'elenco. Quali sono le possibilità? Guardi, infinite! (infinite in quale direzione?) Beh, sono disoccupato. Sì, ma piuttosto che mettere disoccupato su un documento che le durerà 10 anni (secondo la nuova normativa), metterei un generico "impiegato", è l'unica. 
Un generico impiegato. Che compra Lavoro e Carriere in Edicola. Un generico impiegato.

Quando si diventa ciò per cui si ha studiato? E come? 

«Certo che non si può stare ore e ore ad attendere»
«Lei che numero ha, signora?»
«Centoventuno»
«Uh, è pure prima di me, io ho il centoventotto»

Eh, signore, non si sfugge alla matematica delle Poste.