domenica 27 luglio 2008

fading

«...

Non c'è nessuno. Non c'è più nessuno. Le luci si sono spente, le porte si sono chiuse. Ha piovuto, ha fatto caldo.
Non c'è ormai nessuno. Tutto è smesso. Tutto un niente, un nessuno.
Le luci sono spente, l'asfalto è secco. Rimbombano i passi. Un'ultima domenica, questo succede sempre di domenica. Ma è l'ultima: non c'è già nessuno, rimbombano le luci e si è spenta la pioggia. Si scende, giù giù giù, «Non avrebbe mai smesso di precipitare?» ci si chiede nel Paese delle Meraviglie.
Finisce.
Nessuno c'è a finire il conto dei mesi. Le luci, spente. Le porte, chiuse. La pioggia, secca. L'asfalto, piovuto. Il gioco della sinestesia, esaurito. Non c'è nessuno. Più nessuno, ormai. È un'ultima domenica. L'ultimo degli ultimi giorni: e guardiamo la Città Laggiù.
La fortezza, l'isola minima, il rifugio, la salvezza, l'àncora, i cocci, l'umanità varia; le storie che non sono storie, le notizie che non lo saranno mai, i dialoghi ma non solo i dialoghi, l'Italia che c'è e quella che si vorrebbe ci fosse, il sentimento del sapere e la filosofia, il criptocritico, il detto-nondetto, le impossibili citazioni della vita.
Non c'è più nessuno. Niente.
La cura del forte, questo non blog, la piazza oltreoceano, le parole degli altri, le nuove malattie della fine e della solitudine
I bellissimi della rivoluzione.

Non c'è più nessuno, qui. Nessuno, nemmeno. Rimbomba niente. Vuoto. La musica, tace.
Non c'è più nessuno, qui.
Non ci sono più.
Non sono più.
Pouf!

...»

sabato 26 luglio 2008

i panni in Arno

Certo, però, che la fortuna premia gli audaci. Trasformandosi in sfortuna, in taluni casi. Tutto sta a interpretarla.

Come biasimare un uomo, aldilà del secolo di vita, che stanco di un'esistenza troppo a lungo esistita, decide di farla finita? Biasimo solo la teatralità.

Cinicamente, il barbiturico nell'intimo del proprio stambugio, non sarebbe più efficace e meno evitabile?

Ci sono fini che finiscono, e fini che solo iniziano.
Come diventare stupidi tentando di suicidarsi.

A voi la sentenza sulla cotale e cotanta notizia.

la carta

«...mentre fuori la gente (cosa penserà, la gente?) occupava gli spazi liberi del Forte, cantando e mangiando una festa organizzata per l'ennesimo titolato, lui se ne stava immerso in un'atmosfera di caldo compiacimento, dovuta forse al pastìs prima di cena, o a una sana consolazione, un leggero appagamento che provava a scartabellare fra quei fogli bianchi, quelle cornici nere, quelle croci, tutte uguali, anonime, salve dal giudizio, semplici, che lui codificava, a tratti lentamente, quasi ad assaporare il gusto delle menti che avevano pensato alle risposte, a tratti velocemente, quando riconosceva lo stile umano, e poteva prevedere, con un errore minimo, la risposta successiva. Lavorava così, quella notte, dopo quella sera, dopo quel giorno. Soddisfatto (ma per quanto?) di quello che stava costruendo, e impaurito che tutto potesse finire in frammenti per una risata in faccia...»

martedì 22 luglio 2008

l'odiato libro

Da non leggere se si ha anche solo il dubbio, se manca un alfabeto sentimentale. Se mancano le parole. Potenzialmente citabile il 75% delle definizioni che fornisce riguardo al discorso amoroso, in potenza soltanto per l'impossibilità di tagliare parti (cfr. «unquogable», più sotto).

Ne scelgo una, per esempio la voce Gli occhiali scuri, che tratta la figura del nascondere.

«Sono coinvolto in un doppio discorso da cui non posso uscire. Da una parte, mi dico: e se l'altro, per qualche particolare disposizione della sua struttura, avesse bisogno della mia domanda? Non potrebbe allora giustificarsi il mio abbandono all'espressione letterale, al dire lirico della mia «passione»? L'eccesso, la follia, non sono forse la mia verità, la mia forza? E se questa verità, se questa forza, riuscisse alla lunga ad impressionare?
Ma d'altra parte, mi dico: i segni di questa passione rischiano di soffocare l'altro. Non sarebbe perciò meglio, proprio perchè lo amo, nascondergli quanto lo amo? Vedo l'altro con occhio sdoppiato: ora lo vedo come un oggetto, ora come un soggetto; esito fra la tirannia e l'oblazione. In tal modo finisco col fare a me stesso un ricatto: se amo l'altro, sono tenuto a volere il suo bene; ma in questo caso non posso che farmi del male: tranello: io sono condannato a essere o un santo o un mostro: essere un santo, non posso, ed essere un mostro, non voglio: dunque, tergiverso: do a vedere solo un po' della mia passione.»

Altra interessante affermazione, all'interno della figura alterazione:

«L'orrore di guastare è ancora più forte dell'angoscia di perdere.»

Sconsiglio vivamente la lettura di L'Assente (figura dell'assenza) e L'Attesa (figura: attesa), nonché di Io-ti-amo (figura dell'io ti amo). Per non parlare dell'omonima Tenerezza.

Ultima sconquassante citazione, da Sobria ebrietas (figura del voler-prendere), in linea con il nascondere:

«Che il Non-voler-prendere resti quindi irrigato di desiderio da questa mossa rischiosa: l'io ti amo è nella mia testa, ma io lo imprigiono dietro le mie labbra. Non proferisco. Io dico silenziosamente a chi non è più o non è ancora l'altro: mi trattengo dall'amarti

Un libro da non leggersi, se si è sensibili al discorso amoroso...

>>> Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, 1977

domenica 20 luglio 2008

la sospensione

«...voto di astenersi da ogni interpretazione. L'esperienza gli aveva dimostrato, o semplicemente mostrato, che ogni giudizio, ogni ricerca di un senso concreto delle cose era fallimentare; foss'anche fallimentare in potenza, lo era con probabilità altissime in atto. Così fece, evitando di leggere i suoi gesti, o di indagare le intenzioni negli occhi. Raccontare i fatti, vivere i momenti, e astenersi da ogni interpretazione era la strada più logica, o almeno l'unica rimasta, dopo tutti gli errori. Anche nella consapevolezza che se si ripetono gli errori, il fondo potrebbe essere una verità colta, o anche solo sfiorata, che al solo svelamento incute il terrore del cambiamento...»


«La sospensione del giudizio o epoché è l'astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.»

...ma lascia stare i santi!

Strano che sia successo proprio adesso, o forse sintomatico? Che la tendenza esclusionista e conservatrice della Chiesa abbia scatenato reazioni di questo tipo? Forse, prima o poi doveva succedere, o almeno molti se ne rallegreranno, altrettanti si spaventeranno, ma ci sono sempre le ronde per allontanare il problema. Io dico, cadrà tutto nel silenzio, dopo l'exploit iniziale. A me sembra gossip da ombrellone. Farlo santo? E quando ci chiederanno di fare santo il Mussolini? Forse i neonazi chiederanno che Adolf venga beatificato per le belle cose che "dopotutto" ha fatto per la Germania e l'umanità intiera? Non bastava mummificarlo? Quando si dice "culto della personalità", c'è un che di religioso, ma fino ad un certo punto.

venerdì 18 luglio 2008

il nome delle cose

«... che più lo tormenta, è non riuscire a capire cosa. Sa chi manca, ma non sa definire cosa gli manca. Non lo tormenta l'attesa, questa volta c'è un futuro nel calendario, un appuntamento, pur vago, ancora indefinito, ma un luogo, un dove del prossimo incontro. Non è il tempo, quello passa, forse più lentamente, o solo in maniera diversa. Le parole annullano lo spazio, intanto. Al tempo è inutile portare rancore: il tempo è. Niente di meno, niente di controllabile. Quello che più lo tormenta, è non sapere dare il nome alle cose, a quell'insieme di emozioni, di sentimenti, di cose appunto, che vive nei momenti del pensiero lontano: affetto, bene, solitudine, amicizia, stima, mancanza, amore, affinità, malinconia, bacio, felicità, abbraccio, tristezza, impazienza, tenerezza, capriccio, desiderio... Cosa? Se è tutto questo insieme, non c'è alfabeto, non c'è una parola che sintetizzi, che racchiuda. Chiudere in una parola.
Perchè quando serve, non c'è? Dov'è? Quand'è?
Qual è il nome delle cose? ...»

giovedì 17 luglio 2008

lo scienziato nuovo

Dalla nostra inviata:

«Studio pubblicato sulla rivista «New Scientist»:


Cervello maschile programmato su sesso
Quello femminile sarebbe più concentrato sul processo decisionale (maggior pragmatismo) e sulle emozioni

DAL NOSTRO INVIATO

LONDRA – Se gli uomini sono ossessionati dal sesso e sgranano gli occhi non appena vedono una bella ragazza la colpa non è degli stereotipi culturali o di valori sballati di testosterone ma della conformazione del cervello maschile. I ricercatori possono provarlo senza ombra di dubbio: uomini e donne ragionano diversamente perché la loro materia grigia viaggia su binari opposti. Persino la percezione delle droghe non è la stessa. Lo studio, pubblicato sulla rivista New Scientist e ripreso dal tabloid britannico Daily Mail, dimostra che le donne sono più concentrate sul processo decisionale (di qui il maggior pragmatismo) e sulle emozioni. Mentre il cervello maschile punta sul sesso. «La ricerca rivela – scrive la rivista scientifica – che i due cervelli hanno impronte genetiche diverse che creano differenze anatomiche». I ricercatori hanno esaminato e comparato 45 parti della materia cerebrale. «Ci sono diversità – scrivono – anche nei circuiti che collegano i neuroni e nelle sostanze chimiche che trasmettono i messaggi».
ORIENTAMENTO - Il lobo frontale, per esempio, che coinvolge la risoluzione dei problemi e le decisioni da prendere, è più grande nelle donne. Secondo gli studiosi della Harvard Medical School il cervello femminile dà anche più spazio alla memoria breve e all’orientamento spaziale. I ricercatori della University of California hanno dimostrato che i due sessi usano aree cerebrali opposte per per elaborare le emozioni. Lo stesso accade per il dolore. Il che potrebbe spiegare perché la morfina fa più effetto sugli uomini e perché le donne diventano più facilmente dipendenti dalla cocaina. Una scoperta un po’ tardiva se si pensa che il sesso femminile è più soggetto a dolori cronici, come cefalee e comuni mal di testa. Ma i neuroscienziati, finora, si erano concentrati nell’analisi del solo cervello maschile, sia umano che animale, per trovare rimedi efficaci. «È scandaloso – ha detto al Daily Mail Jeff Mogil, ricercatore all’Università McGill di Montreal – di solito le nostre ricerche hanno preso come modello i topi, naturalmente maschi».

Monica Ricci Sargentini
17 luglio 2008»


Ringraziamenti particolari a leprekiauna per la segnalazione

martedì 15 luglio 2008

two poets apart

Il filo di Arianna è l'archetipo del tentativo di distogliere la distanza dalla sua natura divaricatrice, disimpegnare l'assenza. Dipanare un filo attraverso lo spazio, per fornire all'Altro la strada del ritorno a Sé. Il filo è quello del ricordo, è il filo del discorso fra le persone. Il filo di Arianna si srotola nel labirinto del destino, e ha la sua ragion d'essere esclusivamente nel desiderio della presenza, sia questa reale o anche solo riprodotta nel pensiero che si manifesta nel gesto dall'Altrove.

Profondamente egoista.

lunedì 14 luglio 2008

palle di papa

La cronaca locale riserva sempre le sorprese migliori. Già vivere in una regiona dilaniata dal conflitto etnico sottoforma di trattini separatori e inversioni di nomi in plurilingua è di per sé tragicamente comico e geniale, ma adesso eguagliare le Mozartkuegeln con equivalenti palle di cioccolato per la visita di Ratzi, benedicendo gli sferici intingoli con nome Benediktkuegeln, mi pare assai focolaristico, oltre ad essere pateticamente folkloristico. Posto che finché le palle erano di Mozart, ancora ancora si potevano gustare con quel tocco di Vienna e Salzburg che ci piace tanto. Ma gonadi vaticane...

domenica 13 luglio 2008

l'interruzione

«...giorni dopo, non restava nient'altro che una fiera stanchezza. Aveva fatto tutto il possibile, aveva fatto quello che poteva fare, non era in suo potere fermare il tempo, chiedere il tempo, pretendere che qualcuno restasse lì, per lui, o per loro, non aveva poi così importanza. Il cielo, però, il cielo poteva pensarci su, prima di cominciare di nuovo a pisciare sulle macerie della città, proprio in quel momento, subito dopo che l'ultimo dei duellanti aveva chiuso dietro sé la porta della stanza. Fornire, così, una facile poesia, un banale pretesto per unire il pianto al pianto, in una notte che sarebbe stata insonne, che si rivelò poi insonne: improvvise veglie, sedute di interrogazioni allo specchio, tremori e inaspettato calore. La notte dei sentimenti. I've seen love and I follow the speed in the starlight. Come resistere al passare delle ore, destarsi dal sonno che decreta la fine del giorno, il cambio di data? Come quando stai per partire, e cammini all'indietro per fissare fino all'ultimo istante le cose che stai lasciando (o sono loro che se ne vanno?). Certo, aveva fatto quanto poteva, creare il ricordo, i momenti, il loro repertorio. Niente sentimento di ineluttabilità, non ve ne è bisogno. Ma quel dannato sentimento della fine, anche solo di una interruzione brusca venuta troppo presto, in anticipo sui tempi della tabella di marcia (come se avesse un piano, che non aveva punto). It should be me. La distanza fra le persone, lo spazio. Non è destino, è solo spazio che si intromette. Si possono scrivere poesie, leggere poesie, alimentare le cose di noi, citare per invocare, in qualche modo passerà questo tempo. Fino al prossimo incontro. E non si stancherà delle parole, lontane che siano, del suono della voce o di quello sordo dei tasti, ti-tic tic ti-ti-tic...»

martedì 8 luglio 2008

il bellissimo ritorno

«...ritornava, dopo lunghissimi tre giorni, il tempo di una dannata noja che proferiva ricatti morali agli assenti. Troppo ermetico, troppo ermetico, da pensarci su. E quanta mancanza, quasi una distanza di secoli. Ma ritornavano, ora i bellissimi tornavano per le strade della piccola città dell'esilio. Tornavano, per vivere al margine, come fa chi sa meglio degli altri. Perché il confino non era metafora della tristezza, o forse lo era stato, ora il margine era lo spazio della fantasia, e ci facevano piovere dentro, alla fantasia.»

venerdì 4 luglio 2008

«usque tandem revolution!»

Tutt'a un tratto, il cielo tentennante sconquassato da turbini e tuoni saettava, poi di nuovo terso e deserto, il sole le nuvole la pioggia il vento il sole, arcobaleni a tratti. Tratteggi, come dire.
Il verso della notte a placare il rumore. Che verso fa la notte? Eppure versifica, ché ispira. Forse qualcosa tipo d'amore(*). O altri ameni demoni, dostoevskijani o meno, tipo la noja, la speranza, il giubilo, danni alla refrigerazione del self, del selz. Bianchi russi esperiti per ascendenze. Vaticini, latticini, taticini.
Pelle a cenci, nuove coperture dermiche (termiche), la torre del vento oscilla a tempo.
Dottore, dottore, dottore dello sfintere. Una sera, così, ponch e malto fermentato, forse luppolo (ah! questi giovani dimentichi del buon lavoro della terra intiera), lemonaperolsoda, intrugli di sublime bellezza palatiale, leggiamone le componenti facendo finta di esser greci, ma è curry verde thai.
Essenza kitsch sulla riva del fiume, vento e stelle, e anacoluti sentimentali, come regalare tamponi di cotone. Goccia d'oro, la festa all'apice, assenze ma cronache.
Istituire giorni e rituali, sobrietà e democrazia dal basso: questo a noi ci piace.
Amici che da lontano si avvicinano, piazze e panchine, esperienze di carni e luoghi, sentimenti notturni e viscerali.
L'inguaggio. L'Ispagna campiona, poco interessante. It's bostonian time, baby.
Emanciparsi dalla finzione, trovare una baita per passarci la crisi. La scuola persiana, rusty nail e Pedro, l'uogo del lanima questo posto. c'erto.
Altro, altro ancora. Innumerabile, non conteggiabile. Solo, vivibile.

Questo non è un sunto, non ha un ordine. Va bene così.

E siamo bellissimi.

(*) Cfr. Guido Catalano, "I cani hanno sempre ragione", disponibile su web