lunedì 17 marzo 2008

sofismi della non-esistenza

«Non c'è modo di provare che è preferibile essere al non essere»
(Emile Cioran)


Ci sono almeno due livelli di significato dell'esistenza. Un primo modo di concepire l'esistenza è tutto postmoderno e ha a che fare con la dinamica dei fluidi, con la liquidità baumaniana, con l'esistenza come processo di continua negoziazione, sempre in divenire, il flusso dello scambio con l'Alter. E c'è un secondo significato, che è più classico, più aristotelico forse, ed è l'esistenza come risultato, come stato, come condizione, l'esserci che è prodotto di un riconoscimento sancito attraverso lo scambio linguistico, attraverso il discorso verbale e non verbale tra Ego e Alter.

Negare la parola e il gesto all'altro, nel senso del discorso e del confronto (anche formale) con l'altro, è negare la negoziazione delle identità e allo stesso tempo negare qualsiasi risultato stabilito, fisso, da cui possa partire l'interazione che costruisce il sociale e l'esperienza del Sé. Come dice Herbert Mead, il soggetto è l'interazione di tre componenti, l'Io che attiene alla dimensione psichica dell'ego freudiano, il Me che corrisponde all'immagine che Alter ha di Ego, e il Se che nasce dall'interazione fra l'Io individuale e il Me sociale*. E alla base di tutto vi sono significati e comunicazione dei simboli.

Quello cui dovrebbero stare attenti coloro che negano l'esistenza o l'identità, sia attraverso la negazione del dialogo che in altri modi, è che un individuo non riconosciuto, che non esiste è un individuo deresponsabilizzato, che si sente libero di fare quello che vuole a suo piacimento, e che non deve renderne conto a nessuno. Perché se Alter decide che Ego non esiste, non è automatico che Ego si annichilisca, a lui resta un altrove, e una coscienza - per quanto monca - di essere comunque.

L'esistenza è riconoscimento della responsabilità della presenza.


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