domenica 13 luglio 2008

l'interruzione

«...giorni dopo, non restava nient'altro che una fiera stanchezza. Aveva fatto tutto il possibile, aveva fatto quello che poteva fare, non era in suo potere fermare il tempo, chiedere il tempo, pretendere che qualcuno restasse lì, per lui, o per loro, non aveva poi così importanza. Il cielo, però, il cielo poteva pensarci su, prima di cominciare di nuovo a pisciare sulle macerie della città, proprio in quel momento, subito dopo che l'ultimo dei duellanti aveva chiuso dietro sé la porta della stanza. Fornire, così, una facile poesia, un banale pretesto per unire il pianto al pianto, in una notte che sarebbe stata insonne, che si rivelò poi insonne: improvvise veglie, sedute di interrogazioni allo specchio, tremori e inaspettato calore. La notte dei sentimenti. I've seen love and I follow the speed in the starlight. Come resistere al passare delle ore, destarsi dal sonno che decreta la fine del giorno, il cambio di data? Come quando stai per partire, e cammini all'indietro per fissare fino all'ultimo istante le cose che stai lasciando (o sono loro che se ne vanno?). Certo, aveva fatto quanto poteva, creare il ricordo, i momenti, il loro repertorio. Niente sentimento di ineluttabilità, non ve ne è bisogno. Ma quel dannato sentimento della fine, anche solo di una interruzione brusca venuta troppo presto, in anticipo sui tempi della tabella di marcia (come se avesse un piano, che non aveva punto). It should be me. La distanza fra le persone, lo spazio. Non è destino, è solo spazio che si intromette. Si possono scrivere poesie, leggere poesie, alimentare le cose di noi, citare per invocare, in qualche modo passerà questo tempo. Fino al prossimo incontro. E non si stancherà delle parole, lontane che siano, del suono della voce o di quello sordo dei tasti, ti-tic tic ti-ti-tic...»

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