mercoledì 13 maggio 2009

la giornata del fauno urbano

La metropolitana, in quell'ora strana tra le 9 e le 10, è sì piena, ma non affollata: ancora non si sudano fiotti di umori e feromoni. Si arriva alla destinazione carichi delle sgomitate, pieni di vitalità, in più oggi splende il sole e il vento fresco del mattino rende tutto più tollerabile. Si sale un piano, peccato la comunicazione fallace, quel che è privato sembrava pubblico, poco male, si esce e si ha tutta la giornata davanti, si possono anticipare appuntamenti, ci si può prendere del tempo. Ad esempio nella piazza si può salire sul tram della nostalgia, il serpente arancio che percorre una delle grandi direttrici verso nord, per poi, a sorpresa, girare verso la piazza che ha il nome delle scienze. Tutto è diverso, lo spazio è come avevi immaginato che sarebbe diventato, o come avevi sperato che sarebbe diventato, e sei un bambino che si stupisce di ogni angolo, di questo tripudio di gente: c'è primavera, sei l'abitante della metropoli simmeliana ma non hai ancora assunto un atteggiamento blasé, perdi tempo girando intorno, tanto la meta non si sposta, ci arriverai con calma, ora vuoi solo vedere cosa hai visto nascere e non hai potuto vivere. Chi lo avrebbe mai detto. Ti balena in mente l'idea che la bellezza degli obiettivi manifesti nasconda una cruda politica negli obiettivi impliciti e non detti: campus/ghetto? Deciderà il lungo periodo. Tu oggi sei un indiano metropolitano. Riesci ad attraversare la città, dopo le ore con la vecchia amica al nuovo convegno su vecchi miti, in meno di mezz'ora per sorseggiare una fresca bevanda di malto e luppolo e scoprire, dal racconto lagunare dell'amica redeunte, quanto piccolo possa essere questo triste mondo malato, in cui oggi il sole la fa da padrone che sembra agosto. Ti viene in mente la revolution, e l'estate al forte. Non resta che tornare a casa, per la strada più lunga. 

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