domenica 15 giugno 2008

dei cocci

Piano, molto piano, stava raccogliendo i frammenti della sua vita, lentamente li incollava, con l'idea di non ottenere la forma passata, ma un nuovo mosaico. Non avrebbe usato tutti i pezzi disponibili, ed erano molti, o almeno così gli sembrava. In silenzio, solo la musica come voce, le parole già scritte e già suonate, che tanti vangeli gli fornivano, in cui credere, se credere era ancora qualcosa da fare (ne dubitava, dopotutto).
Uno ad uno, mai due alla volta, avrebbe raccolto, osservato la gravità delle scheggiature, valutato il potenziale di ciascuno ad essere riconsiderato, ripreso, riconquistato, inglobato nuovamente nel disegno di sé. Non ricostruire, ma costruire. Anche le bellezze passate, sarebbero state neutri tasselli, ancora da colorare (forse, quelle sì, da ricolorare).
Uno ad uno, mai due alla volta. C'era da mettere ordine, alleggerire, smussare, discutere con se stesso. Era solo in quella operazione, era giusto che fosse solo. Si trattava di cocci vecchi, nessun altro avrebbe potuto dargli una mano, da solo doveva riprendere i luoghi, i tempi, le persone e per ogni elemento di ogni insieme chiedersi dove metterlo, dove posizionarlo.
Due possibilità, incollarlo sulla tela, o destinarlo all'oblio, a quella parte di sé che si chiude, ma non si elimina, solo si fa finta di non vederla, ma ruba centimetri quadrati all'anima, che di per sé, stando negli anfratti del corpo, ha una piccola estensione, per quanto sia densamente popolata.


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