lunedì 26 maggio 2008

uno studio sul romanticismo performativo

C'è una strana sensazione nel parlare di romanticismo, è un tema fuggente.
Questo è un discorso che va avanti da un po'. Una posizione
performativa sostiene che il romanticismo sia un repertorio di azioni, una performance che si attiva in situazioni che sono definite romantiche, quasi una struttura stimolo-risposta; in questo senso quello che si fa è definibile romantico sulla base di due tipi di convenzioni: una convenzione aprioristica, in base alla quale da che il romanticismo ha attecchito nella cultura dell'uomo occidentale figlio cristiano medievale e cortese, sincretizzato con il Geist norreno e sassone (circoscriviamo sempre le generalizzazioni, teoria a corto o medio raggio, à la Merton), ci siano delle cose che si fanno o si dicono già romantiche, romantiche in sé e per sé, indipendentemente dal destinatario (vedi baciperugina). Quindi, romanticismo come paradigma dell'azione.
Una seconda base definitoria ha più a che fare con un atteggiamento fenomenologico, husserliano forse, per cui il repertorio romantico (stiamo ancora viaggiando nell'ipotesi performativa) non è costituito da un corpus di pratiche predefinite, ma da gesti e espressioni quotidiane che sono romantiche nel momento, hic et nunc, e la definizione romantiche di queste azioni avviene sulla base della coincidenza dell'intenzione fra destinatario e mittente, ossia nella condivisione della decodifica del contenuto dell'azione comunicativa. Questo non ha a che fare con i baciperugina in quanto tali, ma con i baciperugina quando è "giusto" (le virgolette ci sollevano dalla responsabilità di affrontare un discorso sull'etica del romanticismo) farne uso. Quindi romanticismo come performance di senso.
La prima accezione, romanticismo-paradigma (fattuale), è inscrivibile nella categoria dell'idealismo, per cui chi adotta questo genere di visione, fa il romantico senza esserlo davvero, o se lo è, lo è perché decide di esserlo, con chiunque e in qualsiasi caso. A mio parere, questo snatura ogni eventuale funzione del romanticismo (non abbiamo parlato di romanticismo in un'ottica funzionalista, ancora), e reifica il simbolismo in pesanti mattoni di stereotipia.
La seconda accezione, romanticismo-performance (senso), è più vicina ad un pragmatismo interazionale, in quanto l'azione diviene romantica solo nell'interazione, nel momento. Tuttavia questa seconda tipologia pone più problemi, in particolare nel momento dell'incontro fra i soggetti, perché la definizione, o meglio la condivisione della definizione è meno scontata. Quando due romantici-pragmatici si incontrano su un terreno comunicativo non usuale, non tradizionale, considerate le diverse prospettive, per quanto tutte rientrino nel romanticismo come performance di senso, l'uscita dall'impasse è possibile solo nel coraggio della dichiarazione, ossia nella chiarificazione del significato, nella richiesta del feedback puro: «Quindi mi stai dicendo che?». Ma ci vuole, appunto, coraggio.
Il romanticismo materico, il romanticismo concreto con fantasia, e ogni altra teorizzazione è valida. Ma cosa c'è di più materico, nella lontananza, della parola? Gli individui portano nell'esperienza diversi livelli di fortezza, di sicurezza, e l'uno può essere più desideroso della conferma, a costo di banalizzare o epurare di aura l'atto romantico dell'altro.
Questo avviene, appunto, nella lontananza.
[Sicchè il materico, il concreto, il fattuale è la performance nell'immediatezza, nel Dasein dell'interazione.]

(Johannes Marcus Caeliarum, sec. XXI d.C.)


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